oftalmoscopìa

sf. [sec. XVIII; oftalmo-+-scopia]. Indagine strumentale, detta anche esame del fondo dell'occhio, che consente allo specialista oculista di esplorare la retina e il primo tratto del nervo ottico. Oltre a completare la valutazione dell'integrità dell'apparato visivo, rappresenta un importante sussidio diagnostico nella valutazione di alcune malattie generali dell'organismo che causano caratteristiche modificazioni della retina o dei suoi vasi (per esempio, il diabete mellito, l'ipertensione arteriosa, alcune malattie neurologiche, circolatorie, ecc.). Si distinguono una oftalmoscopia diretta e una oftalmoscopia indiretta, attraverso uno strumento, l'oftalmoscopio, dotato di un sistema di lenti e di illuminazione per la visualizzazione della retina. Per poter eseguire l'esame, il medico applica un collirio (in genere a base di atropina) che produce, nell'arco di qualche minuto, la dilatazione della pupilla. Le principali malattie di interesse oculistico nelle quali trova indicazione l'esame oftalmoscopico sono le retinopatie, il glaucoma, la miopia, specie se di grado elevato, le malattie del nervo ottico. La tempestività e l'accuratezza di una oftalmoscopia consentono spesso di diagnosticare precocemente patologie oculistiche o complicanze di malattie internistiche prima della comparsa di sintomi o disturbi e quindi di intervenire precocemente con la terapia. Né d'altra parte l'esame comporta alcun rischio per chi vi si sottopone: è rapido, innocuo, molto informativo e un medico oculista può eseguirlo senza necessità di strutture, personale o strumenti particolarmente sofisticati.

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