nanostruttura
IndiceDescrizione generale
sf. [XX sec.; da nano- + struttura]. Termine usato in chimica e in fisica per indicare un materiale le cui entità che lo costituiscono hanno una dimensione che va approssimativamente da 1 nanometro a un centinaio di nanometri (1 nm=10-9 m). Tali entità possono essere, per esempio, cristalliti inorganici o specie organiche supramolecolari. In entrambi i casi, la loro dimensione nanometrica conferisce al materiale macroscopico proprietà estremamente peculiari e inusuali rispetto a quelle dei materiali tradizionali. Se si pensa per esempio a un comune materiale metallico policristallino lavorato e trattato termicamente, esso risulta costituito da grani che hanno tipicamente le dimensioni dell'ordine delle decine o centinaia di micron (10-5-10-4 m), cioè molto superiori a quelle suddette (la dimensione può arrivare anche a 10-2 m o più nel materiale non lavorato, così come ottenuto per solidificazione del fuso). È noto che le proprietà meccaniche, chimiche, elettriche di un materiale di questo tipo dipendono in misura notevole dalle caratteristiche delle zone di confine tra un grano e l'altro e differiscono considerevolmente da quelle del corrispondente materiale monocristallino, costituito (idealmente) da un unico ordinamento regolare di atomi che si ripete indefinitamente nelle tre dimensioni spaziali. I solidi costituiti da cristalli nanometrici (nanocristalli) rappresentano dunque una categoria di materiali assai innovativi, le cui proprietà caratteristiche sono da correlarsi alla piccola dimensione dei grani che li costituiscono. Nel caso delle specie organiche a nanostruttura valgono considerazioni analoghe. Qui il termine di confronto è rappresentato da un lato dai tradizionali materiali polimerici, dall'altro dalle comuni specie molecolari. I primi sono costituiti da lunghe catene macromolecolari monodimensionali o bidimensionali, formate dall'unione ripetitiva di migliaia (o più) di frammenti molecolari uguali tenuti insieme mediante legami covalenti. I secondi sono invece costituiti da molecole relativamente semplici, risultanti dall'unione mediante legami covalenti di un numero limitato di atomi e tenute legate tra loro nel solido da interazioni elettrostatiche e di Van der Waals. Le nanostrutture organiche si collocano in qualche modo tra questi estremi, essendo costituite da entità aventi dimensioni di 1-100 nm e masse molecolari dell'ordine di 10.000-100.000. La stabilità interna di queste unità è a sua volta assicurata sia da legami covalenti sia da interazioni non covalenti, le quali giocano non di rado un ruolo fondamentale nel determinarne le proprietà. Per questo motivo, lo sviluppo di specie organiche nanostrutture si avvale spesso delle acquisizioni della chimica supramolecolare. Perché un materiale possieda una nanostruttura non è necessario che tutte e tre le sue dimensioni spaziali siano nanometriche. Nei nanotubi di carbonio, per esempio, che rappresentano una delle classi più interessanti di tali materiali, solo due dimensioni spaziali possiedono tale ordine di grandezza (la lunghezza può essere molto maggiore). Gli esempi sin qui delineati riguardano materiali estremamente diversi tra loro, la cui produzione richiede strategie completamente differenti e le cui proprietà chimiche e fisiche sono assai varie. Tuttavia, vi è un elemento unificante costituito dal fatto che le loro proprietà sono definite e governate dalla struttura sulla scala nanometrica. La possibilità reale di intervenire, in fase di progettazione del materiale, a tale livello di scala, riuscendo così a regolare le caratteristiche del materiale ottenendone le proprietà desiderate, è un'acquisizione recente e dalle prospettive assai interessanti, tanto da far affermare talora che “nano- è stato il prefisso degli anni Novanta” del secolo XX. È interessante osservare che la dimensione nanometrica non è, in sé, né ‘grande' né ‘piccola'. Ciò che conta è il termine di confronto che si prende: così, ha senso affermare che un nanocristallo è un cristallo avente dimensioni molto ‘piccole' se si assumono come termine di confronto i materiali policristallini tradizionali, ma è pure possibile pensare a esso come un cluster molto ‘grande', potendo contenere tipicamente da 1000 a 100.000 atomi. Allo stesso modo, una nanospecie supramolecolare di massa molecolare pari a 100.000 è molto ‘grande' rispetto a una molecola semplice, non rispetto a un polimero tradizionale.
I nanocristalli
È interessante confrontare alcune proprietà dei nanocristalli con quelle dei corrispondenti materiali tradizionali, spesso indicati come materiali di bulk. Con tale denominazione si vuole mettere in evidenza il fatto che in un materiale comune la grande maggioranza degli atomi che lo costituiscono sono atomi ‘interni', cioè circondati interamente da altri atomi nell'ambito della struttura cristallina. In un nanocrsitallo, invece, la frazione di atomi che si trova esposta sulla superficie dei grani è ragguardevole (può arrivare a essere confrontabile con la frazione di atomi di bulk), proprio a causa delle ridotte dimensioni del grano. Una conseguenza di questo è, per esempio, che la temperatura di fusione di un nanocristallo può risultare nettamente inferiore a quella del materiale di bulk. Così, cristalli di solfuro di cadmio (CdS) aventi dimensione pari a 4 nm fondono a circa 700 °C, laddove il solfuro di cadmio normale fonde a 1475 °C. Poiché una percentuale significativa degli atomi si trova alla superficie del cristallo, l'energia coesiva che tiene uniti gli atomi tra loro e che deve essere in parte vinta affinché si verifichi la fusione è inferiore. La temperatura di fusione varia sensibilmente al variare della dimensione dei grani del nanocristallo. Nel caso di CdS, essa sale a circa 900 °C se la dimensione raddoppia. È questa una caratteristica che sovente si incontra nei nanocristalli: molte loro proprietà variano in modo regolare al variare della dimensione, tendendo a mano a mano a raggiungere i valori del materiale di bulk. Un altro esempio, particolarmente importante nel caso dei semiconduttori, è costituito dalla struttura dei livelli energetici elettronici. La teoria quantistica mostra che gli elettroni che si trovano all'interno di un atomo o di una molecola possono possedere solo determinati valori di energia: la struttura dei loro livelli energetici è cioè discreta. Nei solidi, per converso, i livelli energetici sono tanto vicini tra loro da dar vita a bande di energia praticamente continue, separate l'una dall'altra da ‘vuoti' (gap) più o meno ampi. Le proprietà ottiche ed elettroniche dei solidi sono determinate dalla natura delle bande e dal modo in cui gli elettroni le occupano. I nanocristalli di materiali semiconduttori possiedono una struttura elettronica con livelli energetici discreti, intermedia tra quella degli atomi (e delle molecole) e quella dei solidi, e dovuta al fatto che gli elettroni sono spazialmente confinati su scala nanometrica nelle tre dimensioni. Poiché la posizione relativa dei livelli energetici cambia in funzione della dimensione e della forma del nanocristallo, è possibile ottenere nanomateriali con proprietà ottiche ed elettroniche diverse modificando opportunamente la procedura di preparazione. Queste proprietà rendono i nanocristalli semiconduttori molto attraenti per possibili applicazioni in dispositivi optoelettronici come laser e switch ottici, e li candidano a potenziali futuri sostituti dei transistor tradizionali, la cui continua miniaturizzazione tende ormai a raggiungere il suo limite inferiore. I dispositivi a nanocristallo impiegati per questo scopo vengono indicati come punti quantici (quantum dots) e rappresentano un'area di ricerca attiva nell'ambito della nuova disciplina denominata nanoelettronica. Nel corso degli anni sono state messe a punto varie procedure per sintetizzare nanocristalli e nanoparticelle. Un metodo efficace per produrre nanocristalli semiconduttori è basato sulla pirolisi di reagenti organometallici in seguito a rapida iniezione in un opportuno solvente, capace di coordinare le nanoparticelle. Il seleniuro di cadmio (CdSe), per esempio, può essere preparato iniettando una soluzione di dimetilcadmio Cd(CH₃)₂ e di selenio tri-n-ottilfosfina (C8H₁7)₃PSe (disciolti in tri-n-ottilfosfina) all'interno di un reattore contenente ossido di tri-n-ottilfosfina a 300 °C. La reazione viene fatta procedere per varie ore, monitorando per via spettroscopica la crescita delle particelle in modo da poter modulare opportunamente la temperatura. Dopo la reazione, la temperatura viene abbassata a 60 °C e viene aggiunto del metanolo anidro, che determina la flocculazione dei nanocristalliti; successivamente questi vengono purificati in modo da eliminare i prodotti collaterali. Ripetendo opportunamente la procedura di flocculazione è possibile selezionare la dimensione delle particelle, in modo da ottenere un campione contenente quasi esclusivamente cristalliti di una data dimensione. In questo tipo di sintesi è di fondamentale importanza la rapidità dell'iniezione dei reagenti; essa determina un'improvvisa sovrasaturazione della soluzione, che garantisce la formazione simultanea di molti nuclei di crescita delle particelle e una notevole regolarità nella loro successiva crescita. Un ruolo chiave è svolto anche dal solvente che, coordinando le particelle, stabilizza la dispersione colloidale e rallenta opportunamente il processo di crescita rendendolo più regolare. Approcci alternativi per la preparazione dei nanocristalli sono basati sulla crescita mediante deposizione dal vapore (deposizione chimica da fase vapore, epitassia da fascio molecolare), oppure sul trattamento con ultrasuoni di opportuni reagenti disciolti. Poiché l'efficienza catalitica di cluster e colloidi metallici generalmente cresce al diminuire della loro dimensione, particelle di dimensione nanometrica trovano interessanti applicazioni nel campo della catalisi. Nanoparticelle di palladio e di altri metalli nobili, per esempio, sono usate per catalizzare reazioni sia organiche che inorganiche. D'altra parte, anche la facilità con cui i cluster si aggregano tra loro, dando vita ad aggregati più grandi e quindi cataliticamente meno attivi, è tanto maggiore quanto più piccolo è il cluster. Per superare tale inconveniente le nanoparticelle catalitiche vengono sintetizzate in presenza di stabilizzatori (leganti, polimeri, surfattanti) che si adsorbono alla superficie, ostacolando l'aggregazione tra i cluster. Alternativamente, le nanoparticelle possono essere preparate all'interno di un supporto nanoporoso (zeoliti, argille, ossidi, polimeri organici a struttura reticolata), che serve a ‘immobilizzarle', evitandone l'aggregazione. Questa procedura ha il vantaggio di non comportare l'adsorbimento degli stabilizzatori sulle nanoparticelle, che può influenzare negativamente la loro efficienza catalitica.
Nanostrutture organiche
Il settore che riguarda le specie organiche nanostrutturate ha subito un grande sviluppo nel corso degli anni Novanta, grazie soprattutto ai progressi nel campo della sintesi organica e della chimica supramolecolare. Il concetto fondamentale che accomuna la grande varietà di molecole nanostrutturate è quello di autoassemblaggio o autoorganizzazione. Questo termine sta a indicare il fatto che la nanospecie viene ‘costruita' attraverso una serie di passaggi in una maniera in qualche modo ‘predeterminata' nella struttura stessa che si va accrescendo. In altre parole, l'assemblaggio delle varie unità costituenti è governato dalla ‘informazione chimica' in esse presente, che consiste nelle caratteristiche geometriche ed elettroniche dei possibili siti di legame. In un nanomateriale di questo tipo l'autorganizzazione si pone a due diversi livelli: 1) nell'assemblaggio delle singole entità molecolari per dar vita agli aggregati nanostrutturati; 2) nell'assemblaggio di questi ultimi, che si impacchettano tra loro in modo caratteristico dando vita alla struttura ‘macroscopica' del materiale. Un esempio di nanostruttura è quella originata da un composto, che tende ad assemblarsi in aggregati di dimensione nanometrica costituiti da circa 100 molecole, dalla caratteristica forma a fungo e dalla massa molecolare pari a circa 100.000. L'insorgere di questa architettura è da correlarsi alla struttura delle singole unità, costituite da un segmento rigido (quello contenente i gruppi benzenici) unito covalentemente a un segmento più flessibile, nel senso che può essere più facilmente soggetto a torsione. Inoltre, mentre il frammento rigido è chimicamente e geometricamente ben definito e uguale per tutte le molecole, il frammento flessibile può presentare delle differenze da molecola a molecola; per esempio, può avere un numero di monomeri diverso da 9, una posizione diversa di alcuni doppi legami, ecc. Queste differenze riducono il grado di ordine delle aggregazioni, impedendo la formazione di un'unica estesa struttura tridimensionale e favorendo la formazione dei nanoaggregati. La struttura a fungo ha origine dalla disposizione ordinata dei frammenti rigidi attraverso interazioni di tipo π (il ‘gambo' del fungo), cui non corrisponde un simile ordinamento dei frammenti flessibili e chimicamente non uniformi (il ‘cappello' del fungo). Molti altri esempi di nanostrutture sono stati riportati nella letteratura scientifica.