lassismo
Indicesm. [sec. XIX; da lasso2].
1) Tendenza apparsa nella teologia morale durante il sec. XVII.§ Estendendo i principi del “probabilismo”, il lassismo insegnava che, in caso di dubbio, era lecito agire con libertà anche se le ragioni per dubitare dell'obbligo della legge fossero “minimamente probabili”. Su questa strada penetrarono nella morale cristiana anche opinioni che non avevano nessuna probabilità e che sarebbero state prontamente eliminate se passate al vaglio di seri principi morali: non era difficile infatti trovare in esse la minimizzazione della legge o addirittura la sua eliminazione. Il lassismo faceva parte di un movimento che nel Seicento tentava l'elaborazione di sistemi morali e ne rappresentava l'aspetto deteriore: contro i lassisti infatti combattevano i tuzioristi, che ponevano a base della vita morale solo i principi più sicuri, inoltre altri teologi andavano dal probabiliorismo (vale in morale la regola più probabile) all'equiprobabilismo (non è vincolante la regola che ha un grado uguale di probabilità e d'improbabilità), al probabilismo (vale la regola che è almeno probabile). Nel campo specifico della coscienza individuale il lassismo è un aspetto della coscienza erronea, che confonde il lecito con l'illecito e la materia grave del peccato con quella leggera. Il movimento portò nel popolo cristiano un acuto senso di disorientamento. Sostennero il lassismo i gesuiti e contro la loro casistica Pascalcrisse le Lettres provinciales (1656-57). Fra gli autori principali del lassismo si ricordano A. Escobar y Mendoza (m. 1669), H. Busembaum (1600-1668), T. Tamburini (m. 1675), C. Lacroix (m. 1714), gesuiti, e il cistercense J. Caramuel (1606-1682). Il lassismo fu condannato da Alessandro VII (1665, 1666) e da Innocenzo XI (1679).
2) Per estensione, atteggiamento indulgente rispetto all'applicazione della legge morale; comportamento individuale privo di rigore nel conformarsi alla legge stessa.