interazionismo
sf. [da interazione]. Concezione filosofica secondo la quale, nel tentativo di risolvere il dualismo mente-corpo, si assume che l'una agisca sull'altro, e viceversa. In particolare in sociologia, l'interazionismo come dottrina sociologica deriva dall'idea – presente negli scritti di M. Weber e ripresa negli studi degli psicologi sociali che si rifanno all'insegnamento di G. H. Mead – che il mondo sociale vada compreso soprattutto a partire dal punto di vista degli attori (i soggetti umani che agiscono). L'interazionismo, perciò, indaga la vita quotidiana degli individui, le loro relazioni, le microstrutture in cui si sviluppa la comunicazione fra gruppi e soggetti. E. Goffman nei suoi Modelli di interazione (1959) ne ha perfezionato i metodi di analisi adottando tecniche di tipo drammaturgico, in cui gli attori sono chiamati, come in una scena teatrale, a scomporre, ricostruire e comprendere i ruoli che definiscono le ragnatele delle nostre relazioni sociali quotidiane. Altri studiosi, come G. C. Homans e H. Garfinkel, indagano i sistemi di scambio (premio/punizione) e le caratteristiche della routine. Ma la prospettiva di lavoro più promettente è legata al cosiddetto interazionismo simbolico, che indaga il sistema comunicativo osservando l'interazione attraverso i simboli, i gesti, le regole di comportamento e il linguaggio. Formalizzatore di questa corrente è stato il sociologo americano H. Blumer, il cui pensiero si è espresso nell'ambito della Scuola di Chicago a metà degli anni Novanta del sec. XX. Per Blumer, gli uomini svolgono un'incessante attività di simbolizzazione: rapportandosi al proprio modo di pensare e a quello che presumono degli altri, elaborano simboli che permettono la comunicazione.