débbio
sm. toscano e corso [sec. XVII; forse voce leponzio-ligure]. Pratica agricola di antica origine consistente nel bruciare le erbe secche e le stoppie dei terreni (debbio a fuoco corrente) o nel sottoporre all'azione del fuoco l'intera cotica erbosa dei prati e dei pascoli (debbio a fuoco coperto). Mentre nel primo caso si tratta semplicemente di dar fuoco alla copertura erbacea superficiale di un terreno, che in tal modo viene liberato dalle erbacce e dagli sterpi e usufruisce anche del modesto apporto di sostanze fertilizzanti dato dalle loro ceneri, il debbio a fuoco coperto consiste nell'ammucchiare le piote della cotica erbosa, precedentemente staccate dal terreno e fatte essiccare, in particolari cumuli, detti fornelli, all'interno dei quali si ha cura di predisporre una cavità adatta a ricevere un certo quantitativo di materiale combustibile (paglia, fasciame, ecc.) mediante il quale essi vengono incendiati e lasciati bruciare lentamente. Al termine dell'operazione, che in genere si protrae per diversi giorni, il materiale combusto viene sparso sul terreno e successivamente vi è incorporato con l'aratura. Oltre che a liberare il suolo dalle erbacce e ad arricchirlo con le loro ceneri, il debbio a fuoco coperto migliora la sua qualità nel caso esso sia eccessivamente ricco di sostanze organiche o troppo stipato per eccesso di sostanze colloidali; inoltre ne diminuisce il grado di acidità e distrugge i parassiti animali o vegetali che vi si trovano. Accanto ai risultati positivi, tuttavia, sono da tener presenti quelli negativi, come la distruzione di sostanze organiche e dei microrganismi utili e la dispersione dell'azoto ammoniacale e nitrico, per cui, e anche per il costo piuttosto elevato, la pratica del debbio è oggi assai limitata.