bioindicatóre
agg. [bio-+indicatore]. Di particolari specie vegetali notevolmente sensibili alla presenza di un inquinante nel loro ambiente; l'esposizione, l'assorbimento e l'accumulo di tale inquinante nella pianta determina alcune sintomatologie specifiche, misurabili in maniera esatta, che consentono di quantificare l'inquinante in termini di danni causati. Le principali caratteristiche che fanno di alcune specie vegetali dei bioindicatori sono: l'elevata capacità di assorbimento e di accumulo di sostanze prelevate dall'atmosfera, la resistenza agli stress ambientali, l'impossibilità di liberarsi periodicamente delle parti vecchie o intossicate, un lento accrescimento e una notevole longevità, una particolare sensibilità agli agenti inquinanti. Tali caratteristiche sono state riscontrate soprattutto nei licheni, che vengono utilizzati come bioindicatori dell'inquinamento atmosferico, e nei funghi, che trovano invece la loro applicazione nella determinazione e nella quantificazione della contaminazione da metalli pesanti nei terreni. I licheni possono essere impiegati per valutare la qualità dell'aria secondo due principali strategie: come bioindicatori, quando si correlano i disagi ambientali a variazioni del loro aspetto esteriore come bioaccumulatori, sfruttando la loro capacità di assorbire sostanze direttamente dall'atmosfera. I licheni mancano di aperture stomatiche e sono sprovvisti di cuticola, quindi attuano gli scambi gassosi attraverso tutta la loro superficie: così facendo riescono ad accumulare a livelli considerevoli quei contaminanti atmosferici persistenti difficilmente misurabili in campioni d'aria. Inoltre la loro attività biologica è continua anche a basse temperature, cioè nel periodo invernale, quando i livelli di inquinamento atmosferico sono generalmente più elevati; importante anche il fatto che tali organismi non hanno la possibilità di liberarsi delle sostanze contaminanti accumulate nel tallo tramite meccanismi di escrezione attiva, come invece avviene nel caso delle piante superiori. Sono state realizzate delle “scale di tolleranza” nei confronti della concentrazione atmosferica di SO₂, che permettono di stimare il grado di inquinamento. Questo approccio ha portato alla mappatura della qualità dell'aria su tutto il territorio della Gran Bretagna. I funghi sono in grado di concentrare nel proprio organismo sostanze quali metalli pesanti (mercurio, piombo, argento) ed isotopi radioattivi. La presenza di almeno alcune di queste sostanze è chiaramente legata alla crescita in ambienti contaminati e può essere utilizzata per la valutazione dell'entità e della qualità di inquinamento presente in un determinato ambiente. Tale caratteristica trova un interessante campo di applicazione anche nella bioremediation, una tecnica che prevede l'utilizzo di agenti biologici per il risanamento di ambienti contaminati: sono già stati istallati impianti modello che prevedono il trattamento dei residui della produzione primaria con funghi, ottenendo mangime per animali. Parallelamente alcune ricerche si propongono di individuare i geni che determinano la presenza di proteine in grado di conferire ai funghi la tolleranza ai metalli pesanti: le biotecnologie potrebbero consentire di trasferire questa caratteristica ad altri organismi, quali i batteri, che possono essere facilmente utilizzati negli impianti di depurazione.