archeobotànica
sf. [da archeo-+botanica]. Scienza che studia i resti vegetali provenienti da contesti archeologici (carboni, semi, pollini, fitoliti) al fine di ricostruire la flora dei vari periodi. Le ricerche di archeobotanica indagano i cambiamenti nella vegetazione in rapporto sia all'ambiente sia agli effetti delle attività umane (agricoltura, disboscamento, altre attività economiche). Il termine è stato coniato nel 1978, ma le prime ricerche di archeobotanica risalgono al sec. XIX (analisi polliniche nei Paesi nordeuropei e studi sui reperti vegetali da villaggi palafitticoli svizzeri). L'interesse in questo primo periodo si concentrò sugli aspetti evolutivi della vegetazione in rapporto ai mutamenti ambientali e sulla distribuzione geografica delle specie. In seguito è stata data particolare attenzione agli aspetti collegati al fenomeno dell'introduzione dell'agricoltura, con studi sull'epoca e il luogo di origine e di irraggiamento di ciascuna specie coltivata. Questo tipo di studi, che hanno come oggetto privilegiato le piante di interesse alimentare, vengono però più propriamente indicati con il termine paletnobotanica o paleobotanica. In area mediterranea la conservazione dei resti vegetali, come di tutti i resti organici, è particolarmente problematica dato che le condizioni climatiche facilitano la decomposizione del materiale a opera di microrganismi. Reperti vegetali si rinvengono più facilmente in depositi costantemente umidi oppure, in qualsiasi tipo di giacitura, quando per qualsiasi motivo siano venuti in contatto col fuoco e siano carbonizzati. Negli ultimi decenni del sec. XX sono stati sviluppati sistemi sempre più raffinati di campionatura e di analisi di laboratorio. Per recuperare resti microscopici come pollini e microliti i campioni di terra vengono trattati in laboratorio con procedure particolarmente complesse. I resti macroscopici sono invece recuperati direttamente sullo scavo per mezzo di varie tecniche di setacciatura. Fra queste molto diffusa è la flottazione: in un grosso contenitore pieno d'acqua si versa il campione di terra; gli elementi organici, più leggeri, vengono in superficie e possono essere recuperati con setacci dalle maglie finissime. L'archeobotanica si articola in varie discipline: la palinologia si occupa dei pollini e delle spore, indicatori importantissimi dei grandi cambiamenti climatici. I depositi più adatti a indagini palinologiche sono i fondi dei laghi, le torbiere e altri ambienti permanentemente umidi, nei quali si effettuano carotaggi onde recuperare campioni non inquinati da pollini successivi. Lo studio dei fitoliti (corpuscoli di silice idrata che si depositano nei tessuti vegetali, in presenza di silice nel terreno) è un'applicazione recente dell'archeobotanica. Essendo di natura inorganica, hanno meno problemi di conservazione e risultano utili in contesti in cui i reperti vegetali sono andati completamente distrutti. L'antracologia si occupa invece dell'analisi dei legni e dei carboni: questo tipo di reperti è frequente, dato che la carbonizzazione ferma il decadimento biologico. Le informazioni che se ne ricavano non riguardano solo l'ambiente circostante l'insediamento, ma anche le scelte di essenze diverse in relazione ai vari usi: come combustibile, materiale da costruzione, ecc. Carboni provengono anche dalle sepolture a incinerazione e possono fornire dati su aspetti rituali. Il legno si conserva anche sott'acqua, come nel caso degli insediamenti palafitticoli o dei relitti di navi. La carpologia studia i frutti delle piante: l'identificazione dei cereali è, per esempio, importantissima per studiare i mutamenti introdotti con il Neolitico, ma anche in periodi più recenti può fornire indicazioni sulla dieta, sull'agricoltura e sull'economia di un sito. L'analisi integrata dei dati di archeobotanica con i dati di altre branche dell'archeologia ambientale può infine portare a ricostruzioni articolate dell'ambiente antico e delle attività umane, che escono dai confini del singolo sito e acquistano valore su contesti più ampi.