aprassìa
sf. [dal greco apraxía, inattività]. Disturbo conseguente a lesioni cerebrali e consistente in un'incapacità da parte del malato di compiere atti diretti a determinati fini, per esempio prendere in mano un oggetto. Tale incapacità non dipende da una menomazione delle funzioni motorie né da alterazioni della coordinazione dei movimenti, né da deficit del patrimonio intellettivo del soggetto. Si distinguono due principali sindromi aprassiche: l'aprassia ideatoria e l'aprassia ideomotrice. Nell'aprassia ideatoria, conseguente a lesioni della regione temporale di sinistra (di destra nei mancini), si ha un'impossibilità a compiere bilateralmente atti complessi, essendo persa la capacità di compiere correttamente e nell'esatta successione gli atti semplici di cui si compongono; ciò anche se il soggetto è spesso in grado di riconoscere e valutare con precisione gli stessi atti compiuti da altre persone. Spesso è difficile distinguere questa forma di aprassia dall'agnosia, specie se l'atto comporta l'utilizzazione e quindi il riconoscimento di un oggetto, riconoscimento reso impossibile da un disturbo agnosico. L'aprassia ideomotrice consiste invece in un'incapacità di compiere correttamente atti relativamente semplici e in particolare atti simbolici ed espressivi, di cui il paziente possiede però un'esatta rappresentazione mentale e che può imitare correttamente se li vede compiere da altri. Il disturbo è abitualmente monolaterale e consegue a lesioni del lobo parietale. Se la lesione interessa il corpo calloso il disturbo è bilaterale. Questa forma può comunque riferirsi anche a distretti corporei molto limitati (per esempio un solo arto) e viene allora detta aprassia di innervazione. All'interno dei disturbi aprassici, un posto a parte occupa l'incapacità di esprimere attraverso un'attività motoria il proprio pensiero mediante il linguaggio, sia scritto (agrafia), sia orale (anartria).