algologìa

sf. [da alga+-logia]. Branca della botanica che si occupa dello studio delle alghe. Questa disciplina ha avuto il suo sviluppo nel sec. XIX, anche se alcune specie di alghe sono note da tempi antichissimi per il loro impiego medicinale e alimentare. Nello stesso ordinamento sistematico linneano, figuravano compresi nelle alghe altri vegetali come le epatiche, mentre generi come Volvox venivano inseriti nel regno animale. K. A. Agardh e suo figlio Jacob George possono dirsi gli iniziatori dell'algologia: essi, nella prima metà del sec. XIX, ordinarono e soprattutto descrissero in modo perfetto un gran numero di alghe. Nel corso del medesimo secolo prima J. P. Vaucher poi G. A. Thuret riconobbero gli organi della riproduzione e i tipi di gamia di questi vegetali; non solo, ma Thuret, oltre a studiarne la sessualità, la dimostrò sperimentalmente e ottenne con la fecondazione artificiale vari ibridi di Fucus. A cavallo tra il sec. XIX e il XX un italiano, G. B. De Toni, compendiò in un'opera monumentale, Sylloge algarum, tutta quanta la materia. Studi e nozioni che permisero, agli inizi del Novecento, un approfondimento dell'algologia in campo sia fisiologico sia biochimico e soprattutto il suo ordinamento tassonomico in gruppi naturali a opera di A. Pascher e F. E. Fritsch. Oggigiorno gli studi algologici si avvalgono di mezzi di indagine più perfezionati, coi quali si è potuta approfondire la conoscenza di molti organuli cellulari, delle membrane, dei cloroplasti, dei flagelli. Contemporaneamente si effettuano studi sull'ecologia e distribuzione delle alghe sia marine sia d'acqua dolce e sulla possibilità della loro coltivazione; alcune specie di Alghe, infatti, sono già da molto tempo ingredienti essenziali della cucina orientale, in particolare cinese e giapponese. Questi studi sono dunque molto importanti se finalizzati a trovare nuove fonti di cibo per la popolazione terrestre in continuo aumento.

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