Robespierre, Maximilien-François-Isidore
Indiceuomo politico francese (Arras 1758-Parigi 1794). Figlio di un magistrato che lo lasciò orfano in tenera età, povero, poté continuare gli studi grazie a una borsa di studio. Fu un allievo modello e la fama di uomo d'eccezione gli rimase anche quando, terminati gli studi (1781), si dedicò all'avvocatura nella città natale. Le sue critiche all'ordinamento giudiziario e le accuse all'istituto monarchico gli valsero, nel 1789, l'elezione agli Stati Generali. All'Assemblea stentò a farsi luce: la sua eloquenza non era trascinante, ma il rigore delle sue argomentazioni finì per imporsi alla freddezza professorale del suo eloquio. Assiduo frequentatore della Société des Amis de la Constitution (il “club dei giacobini”), colse qui il primo successo divenendone presidente nel 1790. Qualche tempo prima, Mirabeau aveva detto di lui: “Andrà lontano: quell'uomo crede a quel che dice”. Nel marzo 1791 fu nominato accusatore pubblico al tribunale di Parigi: l'attenzione popolare cominciò a concentrarsi su di lui. Entusiasmarono le sue prese di posizione in favore dei neri, degli schiavi, degli ebrei; le sue proposte di estendere a tutti, indipendentemente dal censo, il diritto di eleggibilità; la sua fede nella rivoluzione al di sopra delle formule istituzionali: “Non sono – diceva – né monarchico né repubblicano”. Piaceva il suo modo di vivere estremamente modesto. “Un incorruttibile” lo definì Marat, “Il nostro Aristide” disse di lui Desmoulins. In effetti Robespierre era assai vicino agli ideali rousseauiani: credeva nell'eguaglianza e nella libertà, era convinto che la “virtù” risiedesse nel popolo non corrotto dalla ricchezza e si batteva contro i soprusi dell'aristocrazia e della corona. Tuttavia, anche dopo Varennes, non aderì subito all'idea repubblicana, pur negando l'inviolabilità del re. Si unì invece a Marat nel combattere le mene dei brissottini e di Lafayette, nella convinzione che la guerra giocasse a favore della monarchia e contro gli autentici interessi del popolo. Gli insuccessi militari e il veto del re ai decreti della Legislativa (1792) gli dettero ragione, cosicché sembrò legittima la sua richiesta di abolizione della troppo debole Assemblea da sostituire con l'elezione di una Convenzione a suffragio universale. La giornata rivoluzionaria del 10 agosto lo portò nel Consiglio provvisorio di cui fu l'anima sino all'elezione della Convenzione (21 settembre 1792). Sedette con la “Montagna” ma non ne fu il capo; votò (gennaio 1793) la morte del re, ma, soprattutto, si batté contro i girondini sino alla loro caduta (giugno). Il momento era terribile: alla gravissima crisi economica si aggiungevano le sollevazioni in armi delle province, le frontiere erano sguarnite, le voci di complotto e di congiure rendevano irrespirabile l'atmosfera politica. Fu varato in gran fretta un Comitato di Salute Pubblica e Robespierre fu invitato a farvi parte. Aderì (27 luglio) non senza qualche esitazione. Benché non fosse, né si atteggiasse a capo, è certo che la sua personalità dominò su quella degli altri membri. Sicché egli ne divenne moralmente il responsabile, anche se non approvò che in parte – o disapprovò – la condotta dei colleghi. La sua lotta fu subito contro gli estremismi di destra e di sinistra all'interno e all'esterno del Comitato, mentre si svolgeva la grande battaglia per la salvezza della Rivoluzione con la quale egli in quel momento si identificò: fu il Terrore, che se trovò qualche giustificazione nell'esigenza di salvare la Repubblica a ogni costo, non poté reggere quando il pericolo più incombente (battaglia di Fleurus, 26 giugno 1794) fu superato. Proprio in quel momento, Robespierre, per motivi non chiari, era assente da Parigi. Quando riapparve alla Convenzione e al Consiglio era troppo tardi: un suo incauto discorso denso di oscure minacce gli fu fatale; provocò l'alleanza tra estremisti e “palude”. Era la fine. Arrestato (27 luglio 1794), liberato dalla Comune, non tentò di organizzare una qualsiasi difesa. Prelevato nella notte dalle forze della Convenzione, tentò forse il suicidio. Benché ferito alla mascella e al poplite fu ghigliottinato il giorno stesso.
Maximilien-François-Isidore Robespierre in un ritratto (Parigi, Musée Carnavalet).
De Agostini Picture Library / G. Dagli Orti
Bibliografia
G. Walter, Robespierre, 2 voll., Parigi, 1961; M. A. Cattaneo, Libertà e virtù nel pensiero politico di Robespierre, Torino, 1968; J. Matrat, Robespierre ou la tyrannie de la majorité, Parigi, 1971; A. Mathiez, Ètudes sur Robespierre, Parigi, 1974; H. Guillemin, Robespierre politico e mistico, Milano, 1989.