Generalità

Periodo storico che intercorre tra il Congresso di Vienna (1814-15) e lo scoppio della rivoluzione liberale in Francia, che portò sul trono Luigi Filippo d'Orléans (1830). Alcuni storici italiani, invece (A. Ferrari), considerando l'importanza degli eventi del 1848 e il loro significato di definitiva rottura rivoluzionaria, liberale e nazionale, assunto nel nostro Paese e in Germania, preferiscono spostare il termine finale della Restaurazione proprio al 1848. In senso storiografico il termine è stato usato per la prima volta in Inghilterra per designare il ritorno (1660) della monarchia degli Stuart dopo la scomparsa di Cromwell e la fine del Commonwealth repubblicano.

Caratteristiche

La Restaurazione va vista come il periodo nel quale si tentò di organizzare in modo duraturo la vita politica del vecchio continente europeo, uscito trasformato dalla ventata innovatrice della Rivoluzione Francese e dei successivi assetti napoleonici, ricorrendo in larga misura ai principi del legittimismo dinastico e dell'equilibrio internazionale. Al Congresso di Vienna molti regni preesistenti alla Rivoluzione francese furono ricostituiti e le vecchie dinastie tornarono sui rispettivi troni; ma alcune antiche repubbliche (Venezia e Genova, Lucca e le antiche città libere anseatiche) vennero definitivamente cancellate dalla carta geografica, mentre ingenti furono le variazioni territoriali degli Stati ricostituiti (si pensi alla drastica “semplificazione” compiuta nel mondo germanico o alla diversa configurazione geografica del Regno di Sardegna). La Restaurazione non fu, dunque, un semplice ritorno al passato, quanto piuttosto un malriuscito tentativo “realistico” di fondere nuovo e vecchio ordine secondo un disegno e con un'ottica politica ormai superati. Infatti, il riassetto compiuto fu un'operazione diplomatica fra soli monarchi, che rimetteva in vigore una concezione patrimoniale dello Stato senza tenere conto delle mutate condizioni politiche e sociali dei popoli e dei Paesi se non per garantirsene il controllo attraverso un solido sistema di alleanze e patti di mutuo intervento armato contro sommosse e ribellioni interne (Santa Alleanza). Ma proprio così si venivano a stabilire un'“estraneità” e una contrapposizione drammatica fra monarchia restaurata e popolo nell'ambito di uno stesso Stato: una contrapposizione che i principi di onore e fedeltà al sovrano (investito del potere direttamente da Dio secondo quanto veniva sostenuto e predicato dalla Chiesa pienamente coinvolta nella politica spicciola dell'alleanza trono-altare) non potevano far superare, ma anzi, al contrario, dovevano acuire con le ripulse delle durissime polemiche ideologiche delle correnti di pensiero che si rifacevano a principi politici più moderni e attuali: la sovranità popolare, il diritto delle nazionalità all'autodeterminazione, la salvaguardia dei valori di libertà e dignità dell'individuo nella vita della società.

Interpretazioni

Nella pubblicistica francese del periodo, il termine Restaurazione assunse il significato negativo di una stolida politica reazionaria, chiusa a tutti gli sviluppi innovatori delle esperienze storiche più recenti. In effetti, oggi, superate le polemiche contingenti, il giudizio storiografico sulla Restaurazione si è fatto più articolato ed equanime, rinvenendo in essa (come ha giustamente sottolineato W. Maturi) tutti i germi dei grandi contrasti ideali, politici e sociali del mondo contemporaneo. In secondo luogo, rimanendo invariate alcune caratteristiche di fondo (l'antidemocraticità dello Stato patrimoniale, la prassi governativa incentrata sul primato dell'ordine, dell'autorità e della tradizione, le repressioni poliziesche, l'eccessivo clericalismo), all'atto pratico varie furono le forme nelle quali la Restaurazione si attuò. Così, di fianco a una Restaurazione autenticamente reazionaria e “codina”, ve ne fu una che chiaramente si inserisce nella tradizione del vecchio assolutismo illuminato (seppure privo dell'originario slancio settecentesco). La prima trova le sue significative esemplificazioni negli ultras francesi, nel ministro Polignac, in re Carlo X, nei gesuiti, nei cardinali zelanti, nel duca di Modena, ecc.; la seconda, invece, è ben rappresentata da Metternich (che a più riprese addirittura intervenne presso re Ferdinando I delle Due Sicilie per far cessare le intemperanze del principe di Canosa e della setta reazionaria dei Calderari da lui ispirata) e dalla nutrita schiera di ministri, quali P. Balbo, E. Consalvi, L. de' Medici, V. Fossombroni, A. A. Neipperg; esponenti, tutti, di un moderatismo politico-burocratico di diverse gradazioni, che non intendeva comunque rifiutare le novità funzionali apportate dalla rivoluzione nel campo giuridico e amministrativo, ma al contrario continuare a servirsene per meglio dirigere e controllare la macchina statale. Inoltre, non va dimenticato che alcuni Paesi (come per esempio la Francia) durante la Restaurazione cominciarono a reggersi con un sistema costituzionale rappresentativo. Certo, si trattava di una Costituzione octroyée, cioè benevolmente concessa dal sovrano, e di un Parlamento che esprimeva ristretti interessi censitari (solo un piccolo numero di proprietari godeva dell'elettorato attivo, mentre ancora minore era il numero degli eleggibili) e non era già la rappresentanza della volontà politica dell'intero popolo; ma costituiva pur sempre un passo avanti rispetto all'assolutismo prerivoluzionario e alle rappresentanze corporative dei parlamenti feudali. Insomma, la Restaurazione è un'epoca difficilmente riducibile a un solo modello storiografico, per l'instabile composizione fra le forze contrapposte della continuità (e della conservazione) e del mutamento (e del progresso).

Restaurazione e cultura

Dalla parte della continuità stavano ovunque le istituzioni monarchiche, la Chiesa, il compromesso censitario tra feudalità e alta borghesia terriera, il desiderio di pace diffuso nei popoli stanchi per le troppe guerre; ma dall'altra agivano, ed erano destinate a prevalere, quelle forze che sorgevano dalle condizioni oggettive della società: le grandi trasformazioni economiche e produttive con lo sviluppo della borghesia, l'avvento dell'industrialismo e dell'urbanesimo; la costante crescita delle popolazioni; la frustrazione sociale di molti ceti militari smobilitati e costretti a una risicata sussistenza; una più matura coscienza politica degli individui ormai abituati all'eguaglianza di tutti di fronte alla legge; il nuovo sentimento collettivo dell'idea nazionale. Al polimorfismo politico della Restaurazione corrisponde poi esattamente il polimorfismo della sua intensissima religiosità. De Maistre, per esempio, la risolveva nella visione terrifica di una provvidenzialità della storia che si pasceva di stragi e di patiboli per riscattare dal peccato l'umanità; Gioberti, nel magistero morale e politico della Chiesa cattolica (neoguelfismo); Lacordaire, Montalembert e Lambruschini in una sofferta conciliazione fra papato e mondo moderno (cattolicesimo liberale) magari passando attraverso una moderata riforma ecclesiale; altri, nel “risveglio” di un rinnovato protestantesimo; altri ancora, in un profondo sentimentalismo umanitario; mentre Mazzini la svolgeva sul piano esclusivamente laico animandola di altissimi contenuti etico-politici democratici. Era, questa, la spiritualità del romanticismo, il movimento culturale caratteristico dell'età della Restaurazione, anch'esso mai univoco nei suoi esiti politici, sebbene Victor Hugo l'abbia voluto definire come “il liberalismo nella letteratura”. In effetti, in alcuni casi esso finì per dare vita ai vagheggiamenti retrogradi e antistorici di un fosco passato medievale, ma più spesso sfociò nel coraggioso impegno civile di trasformare le strutture della società per garantire agli individui la condizione di uomini autenticamente liberi. Alcuni pensatori intravidero la soluzione del problema nel momento liberal-garantista che salvaguardava l'individuo dallo strapotere e dagli arbitri del governo (liberalismo); altri, invece, credettero di poter raggiungere la meta con l'instaurazione di un sistema politico che, fondandosi sulla volontà nazionale espressa dal suffragio universale, lasciasse libero il campo all'azione politica di tutti i cittadini indistintamente, fornendo loro i mezzi materiali e morali per emanciparli con le riforme e l'educazione (democrazia radicale); altri, infine, intesero soprattutto abbattere la peggiore delle servitù, quella del lavoro e del bisogno, pensando a una società in cui vigesse il principio: “a ciascuno secondo i suoi bisogni; da ciascuno secondo le sue capacità” (socialismo). La considerazione di Maturi era, dunque, molto esatta. È nell'età della Restaurazione che spirito progressivo, anelito di libertà, idealità patriottiche e aspirazioni democratiche cominciano a svilupparsi e a proiettare la loro vivida luce destinata a riflettersi sui tormentati sviluppi della realtà contemporanea.

Bibliografia

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