Ohsumi, Yoshinori
Biologo giapponese (Fukuoka, 1945). Nasce a Fukuoka, nell’isola di Kyūshū; ultimo di quattro fratelli, assiste la madre malata di tubercolosi e la vede guarire grazie agli antibiotici arrivati in Giappone nel dopoguerra. L’ambiente rurale in cui cresce lo avvicina al mondo naturale, ma è dal padre, professore di ingegneria della locale università, che eredita la passione per la ricerca. Nel 1963 si iscrive alla facoltà di Chimica dell’Università di Tokyo passando poi a Biologia Molecolare, in cui si laurea nel 1967. Negli anni seguenti è ricercatore del dipartimento di Biochimica nella stessa università. Dal 1972 al 1974 è assegnista in Chimica molecolare all’Università di Kyoto. Nel 1974 si trasferisce alla Rockefeller University di New York, dove si occupa di embriologia e fecondazione in vitro tornando in patria tre anni più tardi. A quel periodo risalgono i primi lavori sui vacuoli del lievito. Dal 1988 è professore associato di Biologia all’Università di Tokyo. Tramite osservazioni con microscopi ottici ed elettronici a scansione, osserva il meccanismo di autofagia dei lieviti, realizzando in seguito uno screening genetico per gli organismi con anomalie nel processo di autofagia e individuando con i suoi collaboratori 15 geni essenziali per l'autofagia indotta dall'assenza di sostanze nutritive. Dal 1996 collabora con l’Istituto Nazionale di Biologia di Base di Okazaki studiando la proteina ATG. Dal 2009 è professore dell’Istituto di Tecnologia di Tokyo (professore onorario dal 2014). Nel 2016 è insignito del Premio Nobel per la Medicina per «le sue scoperte dei meccanismi di autofagia» che «aprono il percorso alla comprensione di molti processi fisiologici fondamentali, come l'adattamento dell'organismo in caso di fame e la risposta alle infezioni». Le ricerche di Ohsumi hanno fatto comprendere che l'autofagia controlla importanti funzioni fisiologiche in cui le componenti cellulari necessitano di essere degradate e riciclate, ed è determinante nella risposta cellulare a stress e infezioni oltre che all’invecchiamento cellulare. I suoi lavori hanno mostrato correlazioni significative tra la defezione del meccanismo di autofagia e l’insorgere di diabete di secondo tipo, cancro e malattie neurodegenerative.