Di Vittòrio, Giusèppe

dirigente sindacale e uomo politico italiano (Cerignola, Foggia, 1892-Lecco 1957). Figlio di poverissimi braccianti, assai attivo nel sindacalismo di ispirazione anarchica a cominciare dal 1911, entrò successivamente nel Partito socialista e venne eletto deputato nel 1921. Tre anni dopo confluì nel Partito comunista e nel 1926 dovette esulare in Francia, dove lo raggiunse una condanna da parte del tribunale speciale fascista. Nel 1936 combatté a capo della XI e XII Brigata Internazionale. Catturato dai Tedeschi in Francia, fu consegnato ai fascisti, che lo relegarono a Ventotene. Nel 1944, assieme ad A. Grandi e B. Buozzi, fu il principale artefice dell'unità sindacale nella rinata CGIL, della quale divenne segretario generale nel 1945. Dopo le scissioni del 1948 della corrente sindacale cristiana, egli rimase leader indiscusso della CGIL, quale capo della corrente comunista. Assai vicino a Togliatti ed eletto dalla prima legislatura repubblicana nelle file del PCI, Di Vittorio improntò la sua azione sindacale a uno stretto legame tra militanza politica e sindacale, con una coerenza tale da condurre alcuni a definire il suo sindacato come una “cinghia di trasmissione” delle decisioni del Partito comunista ai lavoratori. Rappresentante autorevole del movimento comunista e operaio a livello internazionale (fu anche presidente della Federazione Sindacale Mondiale), egli rimane uno dei protagonisti principali del sindacato in Italia nel difficile periodo della ricostruzione del dopoguerra.

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