Cognitivismo

Il cognitivismo può essere definito come un indirizzo della psicologia scientifica che si propone di studiare i processi mentali considerandoli analoghi a processi di elaborazione dell'informazione.

In realtà questa corrente psicologica non costituisce una vera e propria scuola, avendo al proprio interno un'eterogeneità di presupposti, di procedure di ricerca, di obiettivi e di modelli teorici. Tuttavia i suoi vari esponenti presentano alcuni elementi comuni: l'interesse per gli eventi mentali interni al soggetto; l'interpretazione dell'organismo come dotato sin dalla nascita di competenze specifiche; la concezione dell'individuo quale costruttore della propria rappresentazione del mondo.

Abbiamo visto come le linee di connessione tra il cognitivismo e il comportamentismo siano forti e numerose. Infatti dopo il primo periodo di stretta osservanza delle posizioni rigorose proposte da Watson e Skinner da più parti si era postulata l'esistenza di variabili interne al soggetto, pertanto non direttamente osservabili, ma ugualmente in grado di influenzare e orientare il comportamento degli individui, e pertanto degne di studio da parte della psicologia.

Già E.C. Tolman (1886-1959), ad esempio, prendendo il via da una serie di esperimenti sui ratti – sulla falsariga di quelli classici di Thorndike – giunse nel 1948 ad ipotizzare l'esistenza di mappe cognitive, “ipotesi”, “rappresentazioni spaziali” e “rappresentazioni delle mete”, collegate all'apprendimento dei ratti che avevano l'opportunità di familiarizzare con l'oggetto del loro apprendere (nel caso specifico un labirinto, da qui l'interesse per la spazialità) senza l'intervento di alcun tipo di rinforzo. Al contrario di quanto previsto da Thorndike (che ammetteva apprendimento solamente in presenza di un rinforzo) l'immagine di apprendimento che emergeva dagli esperimenti di Tolman non poteva essere fatto rientrare nello schema S-R (vedi paragrafo sul comportamentismo), in quanto preveda l'intervento anche di variabili di tipo intenzionale.

E nei modelli teorici elaborati dai cognitivisti si ipotizza infatti l'esistenza di meccanismi e processi mentali ritenuti reali, anche se non direttamente osservabili e non necessariamente corrispondenti a strutture o processi cerebrali. La verifica dei modelli comporta il riferimento alla coerenza logica interna dei modelli stessi e ai dati empirici di varia provenienza acquisiti con diverse metodologie; particolare importanza viene attribuita al metodo della simulazione del comportamento.

La nascita del cognitivismo si deve però molto all'importazione di idee tratte dalla cibernetica e dall'informatica, ai contributi dell'etologia e ad altri apporti: neurofisiologia, matematica (soprattutto la teoria dei giochi, delle decisioni e delle probabilità) e linguistica (in particolare la grammatica generativo-trasformazionale di N. Chomsky). Il cognitivismo comportò inoltre la rivalutazione di autori del passato, quali W.M. Wundt, F. Brentano, F.C. Bartlett, E.C. Tolman, e di esponenti della psicologia funzionalista e gestaltista e il riconoscimento dell'opera di studiosi quali J. Piaget e J.S. Bruner.

Le correnti del cognitivismo

All'interno del cognitivismo si possono distinguere due correnti. La prima, denominata Human Information Processing (HIP, elaborazione dell'informazione umana), si ispira alla cibernetica, sostenendo l'analogia tra operazioni della mente umana e processi di elaborazione dei dati eseguiti dai computer.

I primi modelli di funzionamento mentale proposti dall'HIP negli anni Sessanta erano caratterizzati dall'elaborazione rigidamente seriale delle informazioni e dalla collocazione finale, nella sequenza delle operazioni di elaborazione, delle fasi di selezione. Tali modelli prevedevano una capacità limitata di elaborazione dell'informazione e canali di elaborazione autonomi. Il merito di questi modelli – definiti, per le loro caratteristiche, “a oleodotto” – risiede nella loro semplicità. I dati sperimentali non hanno però sempre confermato la loro validità. A partire dagli anni Settanta sono comparsi modelli “a cascata” o “in parallelo”, che prevedono l'elaborazione contemporanea dell'informazione lungo canali comunicanti e che le operazioni di selezione vengano poste nelle prime fasi del processo elaborativo dell'informazione. Tali modelli implicano una capacità illimitata di elaborazione, la possibilità di interazione tra i diversi livelli di elaborazione dell'informazione e la possibilità di ricorrere a strategie alternative. Mentre i modelli a oleodotto, di tipo strutturale, postulavano l'esistenza di “blocchi” di operazioni di elaborazione dell'informazione, questi secondi sono di tipo funzionale, in quanto implicano soprattutto flussi di informazione su cui vengono compiute le varie operazioni.

La seconda corrente del cognitivismo (cosiddetta ecologica e ispirata all'opera dello studioso della percezione J. Gibson) ritiene che la mente accolga e riconosca in modo diretto le strutture di informazione che sono presenti nell'ambiente, senza che siano richieste operazioni di rielaborazione. Le versioni ecologiche del cognitivismo sottolineano la funzione adattativa dei sistemi psichici e la loro plasticità, mentre l'orientamento HIP tende a concepire la struttura mentale come fissa e priva della capacità di trasformarsi in relazione alle varie esigenze ambientali. Infine, per la corrente HIP l'informazione trattata dai sistemi psicologici è essenzialmente rappresentata da simboli astratti e le operazioni compiute dalla mente sono computazioni. Al contrario, per il cognitivismo ecologico l'informazione è essenzialmente struttura, organizzazione dell'ambiente e l'operazione fondamentale della mente è quella di cogliere relazioni.

All'entusiasmo inizialmente suscitato dal cognitivismo ha fatto seguito un ripensamento critico, iniziato dallo stesso Neisser con il volume Conoscenza e realtà (1976). La psicologia cognitivista non ha saputo rispondere alle attese, non riuscendo a fornire una spiegazione complessiva dei processi mentali indagati. Inoltre, alcuni dei presupposti su cui il cognitivismo si basava (quali l'analogia tra mente umana e mente artificiale, la natura computazionale dei processi mentali) sono stati messi in discussione. Il cognitivismo è così confluito in un più vasto e recente orientamento teorico interdisciplinare, di cui costituisce uno degli assi portanti, che è la scienza cognitiva.

Un recente ramo della scienza cognitiva può essere considerato il connessionismo, secondo il quale l'architettura della mente è concepita sul modello di una rete di unità (nodi) di elaborazione. Ogni unità è collegata ad altre per mezzo di nessi attraverso i quali si possono attivare o inibire i nodi adiacenti e così modificarne la risposta. Le unità comunicano tra loro in parallelo, cosicché l'intera rete è attraversata in ogni momento da vari flussi diversamente collocati sulla propria superficie. Ne consegue che la conoscenza è rappresentata nel sistema non da simboli, ma da schemi di attivazione che coinvolgono i vari nodi. In questo modo, la conoscenza non è depositata in particolari rappresentazioni o processi, ma è distribuita sull'intera rete. Per questi motivi si parla di parallelismo distribuito; significativamente, i primi e più noti sostenitori del connessionismo si sono raccolti attorno al programma Parallel Distributed Processing (PDP).