Il jazz contemporaneo
In sintesi
Redazione De Agostini
Jazz modale | Nel jazz la tecnica modale è stata adottata sin dalle origini. Tuttavia, è stato solo con The Lydian Chromatic Concept of Tonal Organization (1953) di G. Russell che il jazz si è rivolto a una modalità sistematica, nella quale gli improvvisatori, non prevedendo la gerarchia precostituita fra le sette note della tonalità tradizionale, si muovono su varie scale, usate simultaneamente o in successione. Sulla scia di Russell adottarono la tecnica modale G. Evans, M. Davis, B. Evans, C. Mingus; venne ulteriormente formalizzata da J. Coltrane e McCoy Tyner. |
Charlie Mingus | Compositore eclettico e contrabbassista, Mingus fuse nella sua musica sia le radici del jazz, sia Ellington, il bop parkeriano e la scuola cool di Tristano, il rivoluzionario hard bop e lo stesso free jazz. La prima, grande opera fu Pithecanthropus Erectus, una lunga suite basata sulla più libera improvvisazione, che nei suoi quattro movimenti ripercorre l'evoluzione del genere umano. Fra gli altri capolavori: Tijuana Moods e The Black Saints and The Sinner Lady, una suite di amplissimo respiro, articolata in strutture aeree e ricchissima di componenti tipicamente neroamericane. Dopo la morte di Mingus è stato scoperto Epitaph, un'immensa suite jazz che non ha paragoni anche solo dal punto di vista formale. |
Free Jazz | Il free fu una radicale esperienza di rinnovamento, soprattutto grazie all'opera di Ornette Coleman. Il termine free jazz, o jazz informale, mette in luce i caratteri più importanti di questo stile d'avanguardia: l'abolizione di ogni schema formale e quindi dei punti obbligati di cui il jazz precedente abbondava; il massimo spazio lasciato all'improvvisazione di tutti gli strumenti, posti su un piano di totale pariteticità; l'abbandono frequente del sistema tonale; l'adozione di mezzi espressivi volutamente urtanti, provocatori e naturalistici (dissonanze laceranti e caotiche, iterazioni ossessive, sonorità roche e urlate). Tra i principali esponenti del free jazz: E. Dolphy, A. Shepp, A. Ayler, R. Rudd, S. Rollins, J. Coltrane e Coleman. |
John Coltrane | Dopo esser entrato inizialmente nel quintetto di M. Davis, nel 1957 fece parte del quartetto di T. Monk. Formò quindi un quartetto col quale incise My Favorite Things (1960) e il suo capolavoro assoluto, A Love Supreme (1965), una suite in quattro movimenti che esprime il congiungimento, tramite la creazione artistica, con l'elemento divino. Nel 1965 riunì undici musicisti attorno a un ambizioso progetto: un unico brano, Ascension, in cui i musicisti improvvisarono in uno stato di totale libertà. Nel 1967 Coltrane firmò due dei suoi brani più emblematici: Expressions, in quartetto, e Interstellar Space, in duo: qui Coltrane scandaglia fondali oscuri, nell'intento di una congiunzione conclusiva col nudo suono, per giungere al solo canto e al puro ritmo. |
Etno-jazz | Le prime opere che diffusero l'etno-jazz sono della fine degli anni Cinquanta (Sketches of Spain di M. Davis e G. Evans, Tijuana Moods di C. Mingus, peraltro successive al lavoro pionieristico di Yusef Lateef) destarono grande interesse per l'innovativa tendenza a inglobare sonorità, strumenti e prassi esecutive di tradizioni musicali lontane. Così accadde verso la musica indiana (Coltrane, Dolphy, Sun Ra) o verso motivi e ritmi africani (Coltrane, Weston, Roach o Blakey). Dagli anni Sessanta questa tendenza si è affermata sempre più estesamente e si è configurata, più che come uno stile con caratteri definitori propri, come una tendenza e un metodo ampiamente condiviso. |
Jazz-rock e fusion | La fase "nobile" del jazz-rock (1969-71) fu inaugurata da M. Davis, che introdusse gli strumenti elettrici nel jazz e sbloccò verso il grande pubblico una musica che, con il free, rischiava di esaurirsi in ristretti circoli di cultori. Sulla sua scia un'intera cerchia di musicisti avviò una ricerca di armonie, ritmi e strutture (W. Shorter, J. Zawinul, H. Hanckock, C. Corea, J. MacLaughlin, K. Jarrett). Già verso la metà degli anni Settanta il jazz-rock sembrava tuttavia aver lasciato ormai ampio spazio alle richieste del mercato, che suggerirono alla fine del decennio di sostituire alla memoria di qualsiasi inquietudine esplorativa l'invadenza ripetitiva della fusion, una musica artificiale e stilisticamente sincretica che del jazz non conserva più traccia. |
L'AACM | La Association for the Advancement of Creative Musicians (Associazione per l'avanzamento dei musicisti creativi) è sorta ufficialmente nel 1965. L'AACM ha avuto il suo periodo più fiorente nel 1968-78: si sono espresse almeno due generazioni di musicisti: i primi tendono a identificarsi coi fondatori (M.R. Abrams, L. Jenkins); i secondi con il gruppo più rappresentativo nato in seno all'AACM, l'AEC, l'Art Ensemble of Chicago (L. Bowie, J. Jarman, R. Mitchell, A. Braxton, W.L. Smith). Questa scuola ha conosciuto al suo interno una sorta di bipolarismo estetico espressivo: 1. una linea più estroversa e terrena (AEC), volta al recupero in chiave epico-narrativa, o parodistica, del patrimonio musicale afroamericano, sempre in un'ottica d'avanguardia; 2. uno sperimentalismo più capillare, cerebrale, privo di quelle asprezze e tuttavia ancor più radicale. |
L'improvvisazione e il jazz europeo | In Europa, agli inizi degli anni Settanta, attorno a gruppi ed etichette si è coagulato un movimento di musicisti che hanno elevato a manifesto teorico l'improvvisazione totale e assolutamente libera, praticata come gesto istantaneo e fenomeno musicale altamente creativo: essi avevano in eredità sia un'interpretazione della musica colta europea, sia un approccio "informale" al free americano. |