Società e cultura sotto il principato di Augusto

La cultura e l'arte

L'età di Augusto abbraccia la produzione letteraria dal 43 a.C., data della morte di Cicerone e della nascita del secondo triumvirato (con Ottaviano, Antonio e Lepido), al 17 d.C., anno della morte di Ovidio e di Livio (Augusto era già morto nel 14 d.C.). Per realizzare il processo di riassetto e sviluppo dello Stato romano, Augusto si circonda di validissimi collaboratori, che sono anche amanti delle lettere. A Cilnio Mecenate e a Valerio Messalla affida la promozione delle arti e della cultura; Roma è abbellita con costruzioni come l'Ara Pacis, il Pantheon, il Foro di Augusto; statue del princeps e di altri importanti personaggi decorano la capitale e tutte le città dell'impero. Nel 39 a.C. Asinio Pollione fonda la prima biblioteca pubblica, cui segue, nel 28 e nel 23 a.C., l'inaugurazione di altre due, una annessa al tempio di Apollo Palatino, l'altra nel portico di Ottavia.

Le linee letterarie

Augusto affida implicitamente ai collaboratori anche il compito di conquistare il favore degli intellettuali, che vengono stimati, ammirati, incitati e fatti oggetto di particolari benefici. La letteratura di tutto il periodo fiorisce intorno a Mecenate e a Messalla: essi non chiedono agli scrittori un atteggiamento adulatorio verso il princeps né l'abbassamento a un'arte mercenaria, bensì una letteratura pervasa di spirito patriottico, esaltante la grandezza di Roma e il nuovo assetto politico. L'adesione dei letterati al programma di Augusto fu certamente sincera; del resto i poeti della prima generazione iniziarono a scrivere prima della nascita del principato e molti furono coetanei di Augusto. Virgilio e Orazio, per esempio, si avvicinarono a Mecenate e al partito di Ottaviano molto prima che questi divenisse padrone di tutto l'impero e ottenesse dal senato il titolo di Augusto.

Nel volgere di pochi anni si ha una fioritura irripetibile di capolavori, i più significativi dei quali sono composti nella prima parte del lungo principato, saldandosi così con le importanti opere della fine dell'età precedente. Se si escludono le opere di Virgilio, Orazio, Tibullo, Properzio, Ovidio e Livio, quasi nulla è pervenuto della produzione di tanti altri scrittori, dei quali rimangono soltanto i nomi e un arido elenco di titoli.

Spentasi ormai da tempo la grande letteratura drammatica comica e tragica, anche l'eloquenza viene relegata al solo ambito giudiziario per il dissolversi dello stato repubblicano. Prosperano tuttavia le scuole di retorica perché si convertono in palestre di eloquenza, dove si tengono le declamationes (declamazioni), non più come esercizi propedeutici all'oratoria, ma come esibizione dell'abilità di maestri e studenti davanti a un pubblico di appassionati. Per ottenere l'applauso degli spettatori, ritorna in uso lo stile ridondante e virtuosistico dell'asianesimo, che soppianta quello sobrio dell'atticismo. Diventano di moda le recitationes, cioè letture pubbliche da parte dei poeti delle proprie poesie. Assoluta dominatrice del periodo è la poesia, da quella lieve e raffinata, iniziata dai neòteroi, a quella elevata: coesistono insieme l'epica e la lirica, la satira e l'elegia, genere quest'ultimo del tutto nuovo in Roma.

Augusto scrittore

Anche Augusto si dilettò di letteratura, come tutti i grandi personaggi di Roma, ma fece dell'ironia sulle sue modeste capacità di scrittore. Perduti sono il poemetto Sicilia, un libretto di epigrammi, un'autobiografia in 13 libri, una risposta polemica all'esaltazione di Catone l'Uticense fatta da Bruto, una biografia di Druso e la tragedia Aiax (Aiace), forse incompiuta. Di lui però è rimasto l'Index rerum a se gestarum, cioè un elenco delle sue imprese, dei risultati ottenuti, delle cariche ricoperte per volontà del senato e del popolo romano, dei doni e dei benefici elargiti. Lo scritto è noto anche con il titolo di Monumentum Ancyranum, perché è stato trovato ad Ancyra in Galazia (l'odierna Ankara), redatto nelle lingue latina e greca. Questo documento propagandistico, di grande interesse storico, è composto da 35 brevi capitoli, in uno stile conciso e solenne. Venne inciso su tavole di bronzo e collocato davanti al mausoleo di Augusto; ne furono inviate copie in tutte le città dell'impero per ordine del senato e di Tiberio.

Sotto Augusto sorsero alcuni cenacoli promossi da eminenti personalità della nobiltà romana, che si circondarono di artisti e letterati, offrendo loro protezione oltre che l'occasione di incontro e scambio culturale. Fra questi Mecenate fu il più celebre e potente: non a caso dal suo nome è derivato il vocabolo "mecenatismo" come sinonimo di protettore e benefattore degli artisti e dei letterati. Altri circoli assai frequentati furono quelli di Messalla e Pollione.

Mecenate

Caio Cilnio Mecenate (Arezzo 70 ca - 8 a.C.) nacque da una famiglia di ceto equestre discendente da lucumoni etruschi. Abile uomo politico, esperto diplomatico e amministratore, coltissimo e favolosamente ricco, fu il maggior collaboratore di Augusto, anche nell'attuazione della sua politica culturale; non occupò mai cariche ufficiali e rimase un semplice cavaliere per tutta la vita. Intorno alla figura di Mecenate ruotarono i maggiori poeti dell'età di Augusto, da lui protetti, beneficati e orientati nell'ispirazione verso una letteratura nazionale, idealmente impegnata a celebrare la grandezza di Roma e del principato. Nel suo circolo entrarono Virgilio e Orazio, Properzio e Vario Rufo, Dominio Marzio, Plozio Tucca e Quintilio Varo: con essi Mecenate visse in comunione di pensiero e in affettuosa familiarità.

Fu anche scrittore: delle sue poesie, leggere e scherzose, sono giunti brevi frammenti riportati da Seneca, restano invece solo i titoli delle due opere Symposion e De cultu suo. L'immortalità della sua fama si deve ai letterati del suo cenacolo: Virgilio gli dedicò le Georgiche, Orazio gli Epodi, le Satire e i primi tre libri delle Odi, Properzio il secondo libro delle elegie.

Messalla Corvino

Anche Marco Valerio Messalla Corvino (64 a.C. - 8 d.C.) promosse e protesse le lettere e costituì un importante circolo letterario, autonomo rispetto alle tendenze della maggior parte degli scrittori riuniti intorno a Mecenate. Ne fecero parte Tibullo, l'esponente di maggior spicco, Ligdamo, la poetessa Sulpicia, il giovane Ovidio e altri minori.

Nato della nobilissima famiglia Valeria, Messalla ebbe una formazione culturale molto accurata; in occasione del tradizionale viaggio di studio in Grecia incontrò Orazio e Cicerone. Politico di tendenze repubblicane, seguì Bruto e Cassio a Filippi; dopo la sconfitta si accostò prima ad Antonio e poi, nel 38 a.C., a Ottaviano. Al seguito di quest'ultimo partecipò alla battaglia contro Sesto Pompeo, comandò una parte della flotta ad Azio e, nel 30 a.C., sconfisse in Gallia i ribelli aquitani e celebrò il trionfo. Il legame con Augusto non gli impedì di mantenere una certa indipendenza, come quando nel 26, assunse la carica di prefetto della città (praefectus urbis), dalla quale si dimise dopo soli sei giorni, perché non riteneva di poterla esercitare in piena autonomia. Fu acuto critico letterario, oratore ammirato da Tacito e da Quintiliano per la sua grazia e per la cura formale; scrisse versi leggeri in latino e in greco. Della sua produzione non è rimasto nulla.

Asinio Pollione

Promotore di cultura fu anche Gaio Asinio Pollione (Roma 76 a.C. - 4 d.C.), di nobile famiglia di origine marrucina (abruzzese). Fu seguace prima di Cesare, poi di Antonio. Quando fu incaricato della distribuzione delle terre ai veterani egli restituì il podere a Virgilio, il quale celebrò la sua ascesa al consolato (40 a.C.) nella IV ecloga e nell'VIII parlò della sua spedizione in Dalmazia contro i partini. Con il bottino della campagna militare aprì (39 a.C.) la prima biblioteca pubblica a Roma. Tenutosi in disparte nel conflitto tra Ottaviano e Antonio, si ritirò a vita privata, mantenendo sempre una decisa posizione di autonomia nei confronti di Augusto. Pollione fu un oratore apprezzato, un finissimo uomo di cultura, protettore di artisti e letterati, anche se il suo cenacolo non era paragonabile a quelli di Mecenate e di Messalla. Sono giunti alcuni suoi pungenti giudizi critici su Cicerone, Sallustio, Cesare; Livio, per esempio, fu accusato di patavinitas, cioè di avere uno stile dialettale di gusto padovano. A lui risale l'introduzione delle recitationes (letture pubbliche) organizzate in sale private o pubbliche, in cui i poeti leggevano e declamavano le proprie opere davanti a spettatori. Avvenimenti tra il culturale e il mondano, le recitationes si diffusero per tutto il sec. I d.C., alimentate dalla passione letteraria dei personaggi dell'alta società; contro questa moda si scagliarono gli strali satirici di Orazio, Persio e Giovenale. Scarsi frammenti sono rimasti della sua opera più importante, Historiae (Storie), 17 libri sugli avvenimenti dal primo triumvirato (60 a.C.) alla battaglia di Filippi (42 a.C.). Lo scritto fu lodato da Orazio e servì come fonte per gli storici seguenti. Del tutto perdute sono le sue poesie di tendenza neoterica e le sue tragedie, lodate da Orazio e Tacito, probabilmente destinate più alla lettura che alla rappresentazione.