La nascita della storiografia: Erodoto
Erodoto
Figlio di Lisse e congiunto del poeta epico Paniassi, nacque ad Alicarnasso di Caria nel 484 ca a.C., all'epoca in cui la regione era dominata da una dinastia fedele alla Persia. La famiglia di Erodoto prese parte alla insurrezione contro il regime; Paniassi vi perse la vita ed Erodoto dovette riparare a Samo. Dopo numerosi viaggi di studio che lo portarono dalla Mesopotamia alla Scizia, all'Egeo settentrionale, giunse ad Atene. Conobbe Sofocle ed entrò in contatto con la cerchia d'intellettuali attivi intorno a Pericle, per impulso del quale, tra l'altro, fu fondata nel 444-443 a.C. la colonia di Turi in Magna Grecia, nella quale Erodoto si trasferì, all'atto della fondazione della città o forse subito dopo. Non è nota la data della sua morte, che dovette comunque essere posteriore al 430, visto che Erodoto mostra di conoscere vicende relative alla prima fase della guerra del Peloponneso. È anche discusso se sia morto a Turi o ad Atene, dove forse avrebbe fatto ritorno.
Le Storie
L'opera erodotea non possedeva all'origine un titolo: il termine “storia” (in greco historía, ricerca, indagine) è desunto delle prime righe della sua introduzione. Non è dovuta a Erodoto, bensì ai filologi alessandrini, la partizione dell'opera in nove libri, ciascuno dei quali fu intitolato al nome di una musa. L'articolazione della materia e soprattutto la frequenza delle digressioni ha fatto ritenere che l'opera erodotea non sia nata da un progetto unitario, ma sia il risultato della giustapposizione di unità narrative (i lógoi) nate autonomamente e incentrate su interessi etnografici e geografici, secondo l'uso dei logografi. Secondo altri studiosi, invece, Erodoto avrebbe inteso comporre una storia della Persia, della sua ascesa e delle sue vittoriose conquiste fino allo scontro con la Grecia; l'incontro dello storico con il mondo ateniese e le profonde suggestioni assorbite avrebbero poi determinato uno spostamento di interesse e le ampie digressioni.
L'eredità dell'epos
Qualunque sia stata la genesi dell'opera, è certo che essa fu diffusa oralmente, in recitazioni pubbliche. Sotto questo aspetto Erodoto è erede della tradizione epica: come gli aedi antichi, anche lo storico muove dall'esigenza di sottrarre all'oblio le “opere grandi e meravigliose”. Anch'egli avverte il fascino del raccontare, l'esigenza di suscitare in chi ascolta commozione e stupore: per questo indulge all'elemento fantastico o dà spazio a numerosi inserti novellistici, ricordo di antiche forme di narrazione popolare, spesso di origine orientale. Ma, a differenza di quanto avviene nell'epos, gli eventi narrati sono ormai di uomini e di popoli: per questo richiedono una documentazione. Erodoto distingue tra le notizie conosciute per visione diretta (ópsis) e quelle acquisite per testimonianza orale (akoè); se le testimonianze raccolte contrastano fra loro, sceglie quelle che sembrano più attendibili. Raramente opera su fonti scritte o documenti ufficiali e, nella congerie di dati talvolta contraddittori, si limita a segnalare “quanto si racconta” senza operare una selezione critica. La sua storia, mossa da una curiosità inesauribile e sensibile a criteri di verosimiglianza, non possiede però ancora una metodologia scientifica rigorosa.
Erodoto e il suo tempo
Se la ricchezza della narrazione erodotea rimanda alla cultura ionica di cui lo storico è figlio, lo sfondo concettuale della sua opera si collega alla cultura attica. Contigua a quella della tragedia, in particolare di Sofocle, è la sua visione pessimistica della vita umana; il fato determina le vicende dell'esistenza e la libertà dell'uomo sta nell'accettazione consapevole, dunque responsabile, del proprio destino. Il superamento del limite porta all'accecamento della colpa e alla desolazione della pena; allora, dal massimo livello di felicità e fortuna, l'uomo precipita al massimo dell'infelicità. Dalla sofistica Erodoto mutua il concetto di relatività dei costumi e delle leggi, mentre sostiene i concetti di libertà, di democrazia, di eguaglianza dei cittadini sotto la legge. Erodoto in generale, condivide con l'ambiente politico e culturale dell'Atene di Pericle l'orgogliosa consapevolezza dei meriti della città nella vittoria sull'aggressore persiano.
La lingua e lo stile
Erodoto scrisse in dialetto ionico, con numerosi inserti attici e frequenti forme attinte al linguaggio epico e poetico. Lo stile, con le sue frequenti paratassi, è semplice e piano: la sua mirabile fluidità fu già celebrata dagli antichi. Il piacere di raccontare a volte cede ad un voluto compiacimento. Ma si deve riconoscere che la narrazione procede con molta misura.