L'effetto Doppler e lo spostamento verso il rosso
Nel caso della radiazione luminosa, l’effetto Doppler , che si verifica quando la sorgente della radiazione e l’osservatore sono in moto relativo l’uno rispetto all’altra, provoca variazioni di colore: all’aumento della frequenza associato all’avvicinamento tra sorgente e osservatore corrisponde uno spostamento della radiazione verso l’estremità violetta dello spettro (blueshift)); alla diminuzione della frequenza associata all’allontanamento relativo corrisponde uno spostamento verso il rosso (redshift).
Spesso questo fenomeno viene associato alle teorie astronomiche secondo cui il nostro Universo non sarebbe stazionario, ma in continua espansione: infatti le righe spettrali della luce proveniente dalle stelle e dalle altre galassie appaiono tutte spostate verso l’estremità rossa dello spettro, rispetto alle corrispondenti righe spettrali della luce proveniente da sorgenti situate sulla Terra. Ciò starebbe a indicare che le sorgenti di luce provenienti da altre galassie si stanno allontanando dalla nostra.
Il redshift cosmologico, però, è concettualmente diverso dal semplice effetto Doppler. In quest’ultimo caso, la luce subisce una modifica al suo colore (cioè alla sua energia) solo in conseguenza del fatto che la sorgente che la genera si sta muovendo rispetto all’osservatore. Una volta emessa l’onda, quello che accade alla sorgente non influenza più il colore della radiazione che giunge fino a noi. Nel caso di un universo in espansione, invece, le cose sono più complesse: oltre al movimento proprio della sorgente, dobbiamo aggiungere il fatto che, mentre la luce compie il suo tragitto fino all’osservatore, lo spaziotempo stesso si dilata. Questo comporta una modifica continua all’onda luminosa che influenza l’energia della luce anche dopo che questa è partita dalla sorgente. Nel cosmo in espansione, quindi, il redshift è un’indicazione di quale distanza la luce abbia attraversato e anche di quanto vecchie siano le sorgenti che stiamo osservando.
In ogni caso, il redshift cosmologico dimostra effettivamente che le galassie si allontanano dalla nostra e che quindi l’universo è in continua espansione. Lo spostamento verso il rosso delle galassie lontane è tanto maggiore quanto maggiore risulta la distanza della galassia dalla Terra (legge di Hubble) e, in base all’entità di tale spostamento, si può calcolare la velocità con cui una galassia o una stella si allontanano dalla Terra.
L’allontanamento delle galassie dalla Terra può dare l’impressione che la Terra si trovi al centro dell’Universo, ma in realtà, se si pensa all’Universo come a una superficie sferica che si dilata, come un palloncino che viene gonfiato, tutti i punti della superficie si allontanano gli uni dagli altri. Se l’Universo è in continua espansione, in passato doveva possedere dimensioni inferiori alle attuali e, al suo stato iniziale, aver posseduto una dimensione estremamente compressa, dove tutta la materia presente attualmente possedeva una densità molto elevata: queste ipotesi stanno alla base della teoria del Big Bang, secondo cui l’Universo si sarebbe formato per esplosione di questa massa estremamente densa.