La relatività generale
La teoria della relatività generale estende i concetti di base della relatività speciale ai sistemi di riferimento non inerziali, che sono cioè in moto a velocità non costante e quindi soggetti a un'accelerazione. L'idea centrale di questa teoria, che Einstein sviluppò attorno al 1916, è che nei sistemi di riferimento non inerziali si producano effetti analoghi a quelli associati alla forza di gravità. In questo senso la teoria della relatività generale rappresenta una teoria della gravitazione.
Per Einstein, in sostanza, la causa del moto degli oggetti, e in particolare di quelli sottoposti alla forza di gravità (per esempio, i pianeti attorno al Sole), non è una forza che agisce a distanza, nel senso newtoniano della forza di gravità, ma la modifica della geometria dello spazio nel quale si muove l'oggetto. Lo spazio-tempo nel quale l'oggetto si muove viene incurvato a causa della presenza di grandi masse e questa curvatura determina la traiettoria dell'oggetto (v. fig. 26.1). Si può spiegare semplicemente questo fenomeno pensando a un foglio di plastica sospeso su un'intelaiatura rigida, sul quale venga fatta rotolare una palla pesante: la palla tende a incurvare il foglio e di conseguenza ogni altro oggetto che venga posto sul foglio tenderà ad avvicinarsi alla palla a causa della curvatura che si è prodotta. Il moto di una pietra che cade in un campo gravitazionale è determinato non dalla forza prodotta dalla massa che genera il campo, ma dalla curvatura dello spazio-tempo nel punto in cui si trova la pietra. Lo spazio-tempo controlla la massa "dettandole" il moto, mentre la massa, a sua volta, controlla lo spazio-tempo determinandone la curvatura.
Alla base della relatività generale risiede l'idea per cui, se è impossibile per la relatività ristretta distinguere tra due sistemi di riferimento inerziali, allora le leggi della fisica devono essere le stesse per tutti i sistemi di riferimento inerziali. Ma che cosa succede se il sistema di riferimento è accelerato? Einstein riteneva che tutti i sistemi di riferimento dovessero essere equivalenti per quanto riguarda la formulazione delle leggi fisiche. Questa affermazione rappresenta il principio di invarianza, alla base della teoria della relatività generale.
Per incorporare i sistemi di riferimento non inerziali Einstein formulò il principio di equivalenza, che stabilisce che non è possibile distinguere tra i fenomeni osservati in un campo gravitazionale uniforme e quelli osservati in un sistema mobile con accelerazione costante. Al riguardo egli propose il noto esperimento dell'ascensore: un osservatore in moto in un ascensore in caduta libera in un campo gravitazionale uniforme sperimenta i medesimi effetti di un osservatore che si trovi su un ascensore posto nel vuoto ad accelerazione costante. Il principio di equivalenza di Einstein oltre che per le leggi della meccanica vale anche per tutte le leggi fisiche, compreso l'elettromagnetismo. Non solo la massa è soggetta alla curvatura dello spazio-tempo, ma anche la luce, la cui traiettoria può venire deflessa in corrispondenza di un campo gravitazionale.
Durante il 1919, un'eclissi totale di Sole permise ad alcuni scienziati di misurare la deflessione subita dalla luce delle stelle nel passare vicino al Sole, e la deflessione era in buon accordo con quella misurata teoricamente da Einstein. Questo episodio venne considerato la prima conferma della teoria generale della relatività.
Poiché la teoria della relatività generale può essere considerata una teoria della gravitazione, essa rappresenta lo strumento teorico ideale per la trattazione dei fenomeni astrofisici e cosmologici. Ed è appunto da queste discipline che vengono le conferme alla validità della teoria di Einstein. Una delle maggiori conferme alla teoria è considerata la spiegazione dell'avanzamento del perielio di Mercurio. Il perielio è il punto dell'orbita ellittica di un pianeta nel quale esso si trova più vicino al Sole; secondo le leggi della meccanica classica, il perielio di un pianeta si dovrebbe trovare sempre nello stesso punto. Considerando gli effetti di perturbazione sull'orbita, dovuti all'attrazione degli altri pianeti, si era pervenuti anche prima della teoria di Einstein a una correzione dell'avanzamento del perielio di Mercurio, che si discostava però ancora dalle misure di 43 secondi d'arco ogni secolo. Questa discrepanza trova la sua spiegazione solo attraverso la relatività generale, che prevede che la curvatura dello spazio dovuto alla massa del Sole produca esattamente questo avanzamento. Recenti misure del moto del pianeta hanno confermato l'esattezza delle previsioni sulle misure con uno scarto inferiore all'1%.
L'esistenza dei buchi neri è considerata un'altra conferma alla relatività generale. Un buco nero è un oggetto celeste di massa e densità talmente grandi che nessun altro oggetto, luce compresa, può sfuggire alla sua attrazione. Anche in questo caso la relatività può dare una spiegazione del fenomeno in termini di curvatura dello spazio-tempo, pensando che la massa del buco nero sia tanto grande da deformare totalmente, fino "a richiuderlo dietro di sé", lo spazio-tempo attorno a un oggetto con le caratteristiche di un buco nero.
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Figura 26.1 Curvatura dello spazio-tempo determinata dal peso di una massa.