Arthur Schopenhauer
Il tedesco Arthur Schopenhauer (Danzica 1788 - Francoforte sul Meno 1860) insegna saltuariamente a Berlino negli anni tra il 1820 e il 1831. La sua opera maggiore, Il mondo come volontà e rappresentazione (1819), influenza in modo significativo il pensiero di Nietzsche e di Freud ed è ritenuta una delle opere più importanti del romanticismo antidealistico.
Il mondo come rappresentazione
Partendo dalla distinzione di Kant tra fenomeno e noumeno, Schopenhauer assegna al fenomeno il significato di rappresentazione e al noumeno il significato di volontà. A differenza di Kant, però, per Schopenhauer la rappresentazione non è costruita con le forme a priori, ma le precede, ponendosi come fenomeno originario a partire dal quale si danno spazio, tempo e causalità. La rappresentazione è il rapporto tra soggetto e oggetto, in cui l'oggetto esiste per il soggetto grazie all'azione che esso esercita nello spazio e nel tempo. Essa è regolata dal principio di ragion sufficiente in cui la causalità si manifesta nelle sue quattro radici che regolano: il divenire, come causalità fisica nelle cose naturali; il conoscere, come nesso logico tra premessa e conclusioni; l'essere, come concatenazione degli enti matematici; l'agire, come rapporto tra azione e motivazione. Questi modi del principio di ragione non appartengono solo al soggetto (come vuole l'idealismo) e neppure solo all'oggetto (come vuole il materialismo) ma alla rappresentazione quale rapporto tra soggetto e oggetto: nella rappresentazione la realtà non si esprime nella sua verità, ma nella sua apparenza, che la nasconde come un velo.
Il mondo come volontà
Sottesa all'apparenza fenomenica c'è la realtà noumenica, che per Schopenhauer è espressa dalla volontà, a cui si accede attraverso il corpo. Il corpo, infatti, è la conoscenza a posteriori della volontà, che in esso si annuncia come "cieca pulsione" e irrazionale attaccamento alla vita. Unica è la volontà che si manifesta in tutti gli esseri come una sorta di "volontà cosmica" possente e irrazionale, che alimenta ogni forma di vita, ma anche il conflitto e la sofferenza. Come espressione della natura e delle specie che nella natura si esprimono, la volontà è in perenne conflitto con le esigenze degli individui, e in questa lotta, in cui la soggettività della specie contrasta la soggettività individuale, a esser sacrificato è sempre l'individuo, mero strumento ed espressione della volontà di vita della natura. Solo l'uomo comprende l'assurdità e la tragicità di tutto ciò, vivendo in perenne oscillazione fra il dolore, prodotto da una tensione infinita verso un'impossibile liberazione da questa condizione, e la noia, derivante da qualche appagamento effimero. Da qui deriva una concezione radicalmente pessimista sul senso e il destino dell'uomo, individualmente, socialmente e storicamente considerato.
Le vie di liberazione
Le vie di liberazione dalla volontà di vita sono tutte quelle che sottraggono l'uomo all'illusione del principio di individuazione che domina il mondo della rappresentazione. Una via è l'arte, in cui la coscienza, liberatasi da ogni volontà e da ogni interesse, si fa assoluta nel suo atto contemplativo. Un'altra via è la simpatia, intesa come con-passione universale, in cui gli interessi individuali vengono annullati nella consapevolezza del comune patire. Una terza via è l'ascesi, che si sottrae alla catena infinita del bisogno soddisfazione e risorgenza del bisogno e può così congedarsi dalla volontà desiderante per esprimersi in quella noluntas (nolontà) che è anzitutto rinuncia alla propria individualità e alle sue esigenze. In questo modo estetica ed etica liberano dal dolore metafisico iscritto nella volontà di vita, su cui si basa l'affermazione della specie e che inganna gli individui, i quali, al di là di come si rappresentano il mondo, sono meri strumenti della sua vitalità.