Tratti filosofici della postmodernità
Il termine “postmodernità”, o “postmoderno”, è stato impiegato in diversi campi disciplinari (architettura, letteratura, arte, sociologia, filosofia) secondo accezioni differenti. In ambito filosofico la sua fortuna è legata al testo di J.-F. Lyotard La condizione postmoderna (1979) e la sua diffusione si è imposta grosso modo lungo tutti gli anni Ottanta del XX secolo. Per Lyotard il termine postmoderno, nonostante dia l’idea di una periodizzazione storica, non indica propriamente una fase della storia che venga dopo l’epoca moderna, ma una condizione che fa già parte della modernità. Ai suoi occhi fra moderno e postmoderno non vi s’inserisce tanto una discontinuità quanto piuttosto un rapporto di complessità, quasi che il secondo in certo modo si trovi già incluso nel primo. La condizione postmoderna consiste nel venir meno dei “grandi racconti” dell’età moderna (illuminismo, idealismo, marxismo), i quali, illusoriamente, intendevano offrire una spiegazione unitaria del reale, stabilendo una comunicazione tra estetica, etica e teoria. Questi “racconti”, compreso quello del capitalismo, perdono di credibilità e il progetto di emancipazione universale dell’umanità (maggiore libertà, eguaglianza, razionalità e ricchezza) che li caratterizza è stato distrutto. Il sapere, svincolato dalla sua tradizionale funzione di formazione umanistica, è trasformato dall’informatica e dai mass-media in mero oggetto di scambio e di informazione. J. Habermas ha criticato, in Il discorso filosofico della modernità (1985), questa prospettiva come una forma di neoconservatorismo, sostenendo la necessità di riprendere il progetto moderno (illuminista) e di affermare l’unità del sapere.