Hans Georg Gadamer
Il filosofo tedesco Hans Georg Gadamer (Marburgo 1900 - Heidelberg 2002) è l'ultimo grande rappresentante dell'ontologia ermeneutica iniziata da Heidegger, suo maestro. Fra le sue opere: Verità e metodo (1960); Hegel e la dialettica antica (1961); La dialettica dell'autocoscienza (1973).
Verità, comprensione, interpretazione
L'intento della sua opera più importante, Verità e metodo, è quello di stabilire se la verità appartenga esclusivamente all'indagine della metodologia scientifica, oppure se esista un'esperienza di verità che oltrepassi tale ambito. Filosofia, arte e storia possiedono un peculiare contenuto di verità, un preciso senso di verità che nessuna metodologia può cogliere. Riprendendo l'idea di Heidegger che la verità è un evento, Gadamer afferma che nell'esperienza storica, filosofica e artistica, l'uomo è direttamente coinvolto (non può restare spettatore disinteressato e neutro come nelle scienze della natura) perché è esso stesso parte dell'evento rivelativo della verità e, per essere se stesso, deve prendere posizione, affermarsi come identità specifica nei confronti dell'accadere. L'esperienza è qui intesa come apertura ad altre esperienze, è quella "in cui l'uomo diventa cosciente della propria finitezza". La verità dell'esperienza consiste allora nel "fare nuove esperienze". In realtà non esistono soggetti storici puri davanti a oggetti storici puri: soggetto e oggetto sono modificati e decisi da una tradizione. L'ermeneutica opera quindi nella continua mediazione tra storia e verità, ma questa dialettica, a differenza di quella hegeliana, non giunge mai al compimento assoluto e si risolve in un'analisi continua.
Il sapere diventa così una costruzione dialogica che mette in crisi la ragione centrata sul soggetto e privilegia la "fusione degli orizzonti": questa ermeneutica del sapere parziale tende alla comprensione e, dato che si è sempre in una determinata situazione e in un punto di vista prospettico, è un'interpretazione legata al processo storico. Ma se la comprensione è sempre radicata in una situazione storico-temporale determinata, essa non esiste come interpretazione astratta, ma avviene solo come "applicazione" ed è costituita essenzialmente dal legame con la prassi, la concretezza e la singola situazione.
Ermeneutica e ontologia
Il luogo privilegiato entro il quale opera l'ermeneutica è il linguaggio: la comprensione ha sempre luogo nel linguaggio e possiede il carattere della "linguisticità". La linguisticità del comprendere è definita come l'unica modalità in cui la coscienza può manifestarsi e sedimentarsi. Ciò significa che l'oggetto dell'ermeneutica, come pure l'atto ermeneutico, può essere determinato unicamente grazie al carattere della linguisticità.
Per questo motivo l'ontologia può essere solo ermeneutica e il suo carattere distintivo consiste nel ritenere gli stessi enti e la totalità dell'ente riconoscibili solo a partire dalla linguisticità dell'esperienza del mondo.
La linguisticità del comprendere comporta che ogni interpretazione, anche quella del presente, si evolve in un processo linguistico in atto, che prende forma nella "storia degli effetti", cioè nella storia dell'incidenza e insieme della distanza che il fenomeno storico ha rispetto al soggetto che ne tenta l'interpretazione. L'interpretazione deve perciò esaminare i propri pregiudizi e rendersi conto che appartiene a una storia costituita dalla cosa stessa da interpretare. In tal modo l'orizzonte del presente implica l'orizzonte del passato, non potrebbe mai costituirsi separatamente da esso.