Jean-Paul Sartre
Il francese Jean-Paul Sartre (Parigi 1905-1980) dopo gli studi di filosofia e psicologia conosce il pensiero di Husserl e di Heidegger, che lo influenzano in modo determinante. Pubblica anche numerosi lavori teatrali e narrativi (La nausea, 1938; Il muro, 1939; I cammini della libertà, 1945-49), che diffondono i temi esistenzialistici presso un vasto pubblico. All'attività filosofica e letteraria associa un costante impegno politico militante, in collegamento sempre critico con il marxismo, dal quale alla fine si stacca nettamente, proponendo un'etica della solidarietà e della fratellanza.
Dalla fenomenologia all'esistenzialismo
In Immagine e coscienza (1940) Sartre applica il metodo fenomenologico allo studio delle emozioni e dell'immaginazione, considerate non come fatti psichici, ma modi particolari con cui la coscienza si rapporta al mondo, trasformandone il senso globale. Nell'Essere e il nulla (1943) questo tema viene sviluppato in una prospettiva sistematica: la coscienza, sempre proiettata intenzionalmente fuori di sé, si pone di fronte al mondo. Nella sua realtà massiccia e opaca il mondo costituisce l'in sé, mentre la coscienza, sempre consapevole del mondo e di se stessa, è il per sé e, contrapponendosi all'essere, è il nulla. Questo vuol dire che la coscienza non è mai definita, assorbita o determinata dalla realtà, ma è libera, perché sempre capace di trascendere la realtà fattuale, progettando scopi o valori in cui autonomamente decide di realizzarsi. Nell'uomo la coscienza è sempre "situata", cioè la corporeità è una dimensione intrinseca della coscienza. Gli altri uomini appaiono quando ci si sente guardati, cioè ci si sente trattati come oggetti e privati della libertà. Il rapporto con l'altro è perciò essenzialmente conflittuale.
Esistenzialismo e marxismo
L'avvicinamento al marxismo suggerisce a Sartre una revisione della propria prospettiva, nel tentativo di accogliere l'istanza rivoluzionaria di cui il marxismo è portatore, pur rifiutandone il materialismo e il determinismo. Nella Critica della ragione dialettica (1985) l'uomo è capacità di trasformare con la prassi la situazione che lo condiziona, alla luce di un progetto di liberazione. Egli è legato agli altri uomini da una relazione dialettica, che si attua soprattutto nel lavoro. La sproporzione tra risorse e bisogni causa la conflittualità nei rapporti umani e l'alienazione.
Solo l'attività rivoluzionaria di quello che vien detto "gruppo in fusione" realizza la liberazione di ciascuno attraverso la contemporanea liberazione di tutti, senza più conflitti interpersonali. Ma quando si avvicina alla meta perseguita, il gruppo diventa una istituzione e riproduce nuovamente la divisione tra chi comanda e chi è oppresso.