Entrate non tributarie
Tra le entrate non tributarie si ricordano quelle che lo stato può procurarsi mediante:
- emissione di moneta;
- alienazione di cespiti patrimoniali;
- emissione di debito pubblico.
Come abbiamo visto in precedenza, l'emissione di moneta va incontro a precisi limiti macroeconomici. In condizioni di piena occupazione si traduce in inflazione, ossia in diminuzione del potere d'acquisto della moneta che equivale a un prelievo arbitrario sui redditi e sui capitali.
L' alienazione di cespiti patrimoniali, solitamente beni immobili, consente allo stato di ottenere una frazione di risparmio privato da destinare, per esempio, al rimborso del debito.
• Il debito pubblico
Con il debito pubblico lo stato finanzia l'eccesso delle spese sostenute dallo stato e dalle altre amministrazioni nell'esercizio delle loro funzioni rispetto alle entrate ordinarie (imposte e tasse) con l'indebitamento presso gli altri operatori del sistema economico (imprese, famiglie, settore estero). Tale indebitamento assume la forma di passività finanziarie (titoli del debito pubblico) che vengono acquistate dagli operatori e costituiscono un credito da questi vantato verso lo stato. Lo stock del debito pubblico esistente in un dato istante è rappresentato dall'insieme delle passività finanziarie non ancora estinte in quell'istante: tale insieme è tipicamente il risultato di scelte di indebitamento succedutesi nel tempo a fronte di ricorrenti disavanzi. Si distingue generalmente tra debito a breve e debito a lungo termine, in base alle diverse scadenze alle quali lo stato si impegna a restituire il prestito contratto, Vengono classificate debito a breve le passività finanziarie la cui scadenza non supera l'anno, in particolare i BOT, originariamentie introdotti come strumenti per compensare squilibri di breve periodo tra entrate e uscite del tesoro. Tradizionalmente, il debito a lungo termine sarebbe, invece, riservato al finanziamento di investimenti o spese strutturali (per esempio, grandi opere pubbliche, guerre).
• Il teorema Barro-Ricardo
Fin dal suo primo costituirsi come scienza, l'economia si è interrogata sugli effetti del debito pubblico. È a Ricardo che si deve la prima formulazione del cosiddetto teorema ricardiano dell'equivalenza, secondo il quale il debito è neutrale, nel senso che il finanziamento di una spesa con debito è equivalente al suo finanziamento con imposte. Tale tesi, in verità presentata originariamente da Ricardo in chiave critica e riproposta in epoca moderna dall'economista statunitense J. Barro ( teorema di Barro-Ricardo), si fonda sull'esistenza di un vincolo di bilancio del settore pubblico: l'impegno a ripagare il debito da parte dello stato equivale all'impegno a esigere imposte per finanziare tale rimborso. Se gli operatori sono perfettamente razionali, essi scontano nelle proprie scelte la futura pressione fiscale: questa, opportunamente attualizzata, influirà sulle decisioni correnti. Data l'esigenza di finanziare una particolare spesa pubblica, le due alternative (imposizione fiscale e indebitamento pubblico) risultano quindi equivalenti: se lo stato sceglie la tassazione, vengono sottratte risorse al consumo corrente per generare risparmio pubblico; se esso sceglie l'indebitamento, l'operatore razionale percepisce comunque una diminuzione del proprio tenore di vita (reddito permanente) in vista delle future imposte cui fa fronte con un incremento del risparmio di ammontare equivalente. L'unica differenza tra le due politiche – in linea di principio irrilevante – risiede quindi nella natura pubblica o privata del risparmio, ossia della sottrazione – coatta o volontaria – di risorse al consumo corrente, sottrazione comunque necessaria per finanziare la spesa pubblica.
Se le ipotesi considerate si verificano, il finanziamento del disavanzo pubblico con debito ha gli stessi effetti, nel lungo periodo, di una politica di pareggio del bilancio pubblico. Il venir meno di tale ipotesi pone il cosiddetto problema della sostenibilità: se esistono cioè limiti all'accumularsi dello stock di debito pubblico, il superamento dei quali comporti oneri insopportabili per il sistema economico.
La prima rigorosa analisi del problema della sostenibilità è dovuta a E. Domar, il quale studia l'effetto dello stock di debito pubblico sull'equilibrio macroeconomico sotto l'ipotesi che le autorità di politica economica adeguino la pressione fiscale alle necessità di finanziare il servizio del prestito: il “peso” del debito è allora costituito da questa pressione fiscale. Domar dimostra come nel lungo periodo tale peso risulti sostenibile, nel senso che esso converge a un valore stabile nel tempo.