La teoria delle decisioni sociali
Le modalità con cui si svolgono i processi decisionali in un sistema democratico sono oggetto di alcune discipline della scienza economica e della scienza delle finanze.
•La teoria delle scelte pubbliche
La teoria delle scelte pubbliche o public choice, affermatasi negli Stati Uniti alla fine degli anni Cinquanta, specie grazie ai contributi di J. Buchanan e G. Tullock, si occupa di individuare i meccanismi di formazione delle decisioni pubbliche presupponendo che i soggetti in esse coinvolti abbiano le stesse motivazioni di quelli che operano scelte economiche di mercato.
Questa teoria si basa dunque sull'assunto che i partiti politici, la pubblica amministrazione, ma anche i gruppi di pressione o di interesse, come i sindacati dei lavoratori e degli imprenditori, si comportano in modo tale da massimizzare il proprio benessere che può concretizzarsi nel raccogliere più voti possibili o nel massimizzare una qualche funzione obiettivo.
•La teoria dell'azione collettiva
Un campo di studi strettamente contiguo è costituito dalla teoria dell'azione collettiva, che studia i diversi assetti istituzionali attraverso i quali si attua il coordinamento delle azioni di più soggetti al fine di migliorare il benessere di tutti. Vengono analizzati in questo ambito i comportamenti perversi nei quali il perseguimento dell'interesse individuale ha come risultato la diminuzione del benessere collettivo, e in particolare il comportamento dei free rider, i soggetti che fruiscono dei beni pubblici senza contribuire ai costi per lo loro produzione.
I singoli membri di una società non hanno alcuna convenienza a contribuire con una quota equa ai costi di produzione di questi beni, in quanto sono pienamente consapevoli che non possono essere esclusi dal loro consumo una volta che questi sono stati prodotti. Ogni soggetto – razionalmente – opta per un comportamento d'attesa, ossia, rivelando imperfettamente le proprie preferenze, aspetta che siano gli altri soggetti a produrre il bene pubblico e questo per fruire dei benefici senza sopportarne i relativi costi. Ne consegue che il bene o non verrà prodotto – e questo perché tutti gli individui interpellati sull'eventuale produzione del bene pubblico in quanto pienamente razionali hanno la convenienza a esprimere le proprie preferenze in modo distorto e quindi a comportarsi tutti da free rider – oppure verrà prodotto in misura insufficiente.
•La teoria delle scelte sociali
La definizione dei criteri e delle regole che consentono l'aggregazione delle preferenze dei singoli individui, allo scopo di giungere a decisioni collettive è invece al centro della teoria delle scelte sociali. È un ramo della teoria economica, le cui radici sono collocabili nella seconda metà del Settecento con i contributi di J.C. Borda (1781) e di M. de Condorcet (1785), ma che è stato notevolmente arricchito e stimolato dai lavori di K. Arrow (1951) e di A. Sen (1970).
La teoria è nata e si è sviluppata come lo studio di quelle procedure attraverso le quali un certo gruppo di individui (una collettività) si trova a dover prendere una decisione a partire da un campo assai diversificato di scelte, sulle quali sussiste una notevole eterogeneità di opinioni.
Si usa definire questo campo d'indagine come decisioni di comitato, ove per comitato si intende appunto un insieme eterogeneo di individui, ciascuno dei quali è caratterizzato da una propria funzione obiettivo: scopo delle diverse tipologie di processi decisionali è quello di sostituire a queste differenti funzioni un'unica funzione delle preferenze, che può rispondere a criteri di democraticità o rispecchiare il prevalere di un'ideologia. La teoria delle scelte sociali investiga dunque le modalità con cui si arriva alla formazione di quegli obiettivi di politica economica che devono essere tradotti concretamente in azioni o beni tangibili da parte del policy maker pubblico (parlamento o governo) in un contesto democratico.
All'interno della teoria delle decisioni di comitato si effettua generalmente una distinzione tra teoria assiomatica delle scienze sociali e teoria delle votazioni.
•La teoria assiomatica delle scienze sociali
Nella teoria assiomatica delle scienze sociali si parte dalla rassegna delle condizioni che devono essere soddisfatte da una qualsiasi regola di scelta collettiva: il teorema di impossibilità di Arrow dimostra come non sia possibile individuare una funzione di scelta sociale in grado di soddisfare caratteristiche minimali di razionalità e democraticità (dominio universale, unanimità, indipendenza dalle alternative irrilevanti e transitività).
Anche A. Sen (1970), partendo da una differente prospettiva che sottolinea l'importanza delle libertà e dei diritti individuali e di gruppo (la condizione L del liberalismo), dimostra che, nonostante vengano presi in considerazione requisiti assolutamente minimali da un punto di vista democratico, non si è in grado di pervenire a una funzione di decisione sociale capace di soddisfare simultaneamente tali condizioni minime (la versione debole del principio paretiano, la condizione di universalità e la condizione di liberalismo).
•Le votazioni nella teoria economica
Le votazioni, ossia i procedimenti mediante i quali si perviene a decisioni pubbliche (per es. la determinazione del livello della spesa pubblica) sono state oggetto di studio da parte della public choice, dal punto di vista sia della teoria dei comitati, vale a dire di una democrazia diretta, sia della teoria delle elezioni, ossia di una democrazia rappresentativa. Entrambi i contesti sono stati studiati facendo riferimento, in gran parte, alla regola della maggioranza, intesa come criterio per aggregare le preferenze di un gruppo di individui al fine di adottare una decisione comune.
In particolare, tramite un'analisi dei costi e dei benefici connessi a ogni criterio impiegato per aggregare le preferenze individuali, J. Buchanan e G. Tullock propongono un confronto tra la regola della maggioranza e quella dell'unanimità. Quest'ultima, se da un lato garantisce il pieno rispetto delle preferenze di tutti gli elettori, dall'altro implica costi elevati in termini di tempo necessario per ottenere una decisione comune. Secondo Buchanan e Tullock si può definire ottima quella maggioranza che minimizza la somma di due tipi di costi: quelli connessi al peggioramento del benessere di coloro che sono contrari alla decisione (minoranza) e quelli in termini di tempo necessario per raggiungere la maggioranza richiesta. La regola della maggioranza, tuttavia, non è esente essa stessa da critiche anche molto radicali.
•Il paradosso del voto
A seguito di una votazione a maggioranza su almeno tre alternative, può risultare un ordinamento delle preferenze sociali che non rispetta la proprietà transitiva. Per es., può accadere che l'alternativa A vinca su B, B su C e C su A. In questo caso, ovviamente, non è possibile prendere una decisione comune che rispetti il principio della transitività e quindi quello della razionalità, e possono verificarsi cicli elettorali (voting cycles). Per certi aspetti, il paradosso del voto può essere considerato come un caso particolare del cosiddetto teorema di impossibilità di Arrow.
Un altro tipo di problematiche, connesso all'uso della regola della maggioranza, nel caso in cui sia possibile che più di un'alternativa sia approvata (proposte non mutuamente esclusive), è quello analizzato da Tullock e noto come scambio di voti o logrolling. In questo contesto, l'impossibilità di raggiungere una decisione a livello sociale, può essere superata se parte degli elettori si accorda, nel senso di appoggiare reciprocamente le proposte da loro preferite (per es., l'elettore 1 appoggia l'alternativa B preferita dall'elettore 2 in cambio di un analogo appoggio di 2 a favore dell'alternativa A, preferita da 1). Se da un lato questo metodo può far sì che una o più decisioni riescano a passare, dall'altro è criticabile in quanto permette a piccoli gruppi di pressione di formulare proposte molto specifiche e di farle approvare attraverso uno scambio di voti, anche se queste proposte, pur beneficiando i membri dei gruppi di pressione, diminuiscono il benessere della maggioranza degli elettori. Proprio questo tipo di procedura, secondo Tullock, può spiegare il recente aumento della spesa pubblica nelle moderne democrazie.
Le applicazioni più recenti dei modelli di voto a temi di politica economica riguardano modelli di elezioni in democrazie rappresentative. In particolare, l'attenzione degli studiosi si è concentrata sul comportamento assunto dai candidati durante le campagne elettorali e successivamente alla loro elezione. A. Downs ha applicato il teorema dell'elettore mediano al contesto di un modello elettorale, con due candidati. Ordinando le possibili posizioni politiche dei candidati su un'asse, da quella più progressista a quella più conservatrice, se le preferenze degli elettori sono unimodali e non c'è astensionismo, entrambi i candidati sceglieranno la posizione preferita dall'elettore mediano.