Il risparmio
Il risparmio è la parte di reddito non destinata ai consumi. In simboli:
dove S è il risparmio, Y il reddito, C il consumo.
In ambito macroeconomico, l'autore che diede l'impulso iniziale all'analisi delle decisioni di consumo e di risparmio fu J. M. Keynes. Egli assunse una funzione di risparmio che era residuale rispetto alle scelte di consumo. Poiché la funzione del consumo dipendeva dal solo reddito corrente (vale a dire prodotto e disponibile nello stesso periodo in cui si considera il consumo), anche il risparmio doveva risultare dipendente dal solo reddito corrente. In altri termini, la sua funzione del risparmio era una funzione del tipo
dove Y è il reddito totale, S il risparmio totale e s è la propensione al risparmio, pari a (1- c), con c propensione al consumo. Il parametro a e la propensione al consumo c rappresentavano l'atteggiamento degli individui verso il consumo; in particolare, Keynes ipotizzò che c fosse inferiore a 1, ossia che una parte del reddito non fosse consumata, essendo invece risparmiata. Inoltre, egli tenne conto del fatto che in presenza del settore pubblico, il reddito di riferimento per le decisioni private di consumo e di risparmio avrebbe dovuto essere il cosiddetto reddito disponibile, cioè quell'ammontare ottenuto sottraendo al reddito totale, Y, gli oneri fiscali e sommandovi gli eventuali trasferimenti pubblici.
Per superare un difetto cruciale della teoria keynesiana, quello della dipendenza delle decisioni di risparmio dal solo reddito corrente, è stato successivamente elaborato un approccio intertemporale alle decisioni di risparmio che prendeva le mosse dalle decisioni microeconomiche di risparmio. In base a esso, si tratta di individuare il flusso di consumi che consente di massimizzare una funzione di utilità individuale, avente per argomento il consumo dei vari periodi, in presenza di un vincolo di bilancio intertemporale tale per cui il valore attuale del consumo sia uguale al valore attuale del flusso di redditi futuri attesi. In simboli, considerando due soli periodi (possiamo pensarli come presente e futuro), il problema è il seguente:
dove
U rappresenta la funzione
di utilità, c
• Offerta di risparmio e tassi d'interesse
Importanza cruciale assume l'effetto provocato da variazioni del tasso d'interesse sull'offerta di risparmio. Ponendoci in un'economia descritta da due periodi, il tasso d'interesse (reale) rappresenta il prezzo relativo del consumo presente rispetto al consumo futuro. In altri termini, se r è il tasso d'interesse, significa che, rinunciando a un'unità di consumo nel presente, cioè risparmiando un'unità, in futuro se ne potrà consumare 1+ < em> r. Dunque, considerare un aumento di r equivale a considerare un aumento del prezzo del bene disponibile attualmente rispetto al bene del periodo futuro; ciò in quanto la medesima unità di risparmio consentirebbe un consumo superiore nel secondo periodo in seguito all'aumento di r, cosicché rinunciarvi per poter consumare nel periodo presente è più costoso. L'impatto di un aumento del tasso di interesse sull'offerta di risparmio non è affatto scontato a priori; in particolare, non necessariamente a un aumento del tasso d'interesse corrisponde un aumento del risparmio, come spesso si crede. Infatti, sono due gli effetti che operano a seguito, poniamo, di un aumento di r . Innanzitutto, un effetto sostituzione. L'aumento del prezzo relativo del bene presente rispetto a quello futuro fa sì che si verifichi una sostituzione nel consumo del primo a favore del secondo, con conseguente aumento dell'offerta di risparmio (appunto data dalla differenza tra reddito disponibile e consumo). Inoltre, si ha un effetto reddito. Se la famiglia nel primo periodo ha realizzato risparmi positivi, allora l'aumento di r la renderà più ricca e l'effetto reddito si tradurrà in un aumento dei consumi in entrambi i periodi, quindi in una riduzione del risparmio. Al contrario, se la famiglia nel primo periodo ha contratto prestiti (realizzando un risparmio negativo), l'effetto reddito consisterà in un aumento del risparmio. Dunque, sommando i due effetti, si può concludere che solo nel caso in cui una famiglia sia debitrice netta, un aumento del tasso d'interesse comporta certamente l'aumento della propensione al risparmio. Diversamente, il segno opposto dei due effetti non ci consente di trarre conclusioni a priori.
• Le teorie del reddito permanente e del ciclo vitale
Nel contesto dell'approccio intertemporale possono essere collocate le teorie cosiddette del reddito permanente (dovuta a M. Friedman) e del ciclo vitale (attribuita principalmente a F. Modigliani). Entrambe portano a concludere che consumo e risparmio non siano funzione del reddito corrente. In particolare, la teoria del reddito permanente si basa sull'idea che le famiglie non adottino le proprie decisioni di consumo sulla base del reddito corrente, che è una grandezza generalmente variabile da periodo a periodo, bensì sulla base del reddito permanente, il quale può essere definito come una sorta di media del reddito corrente e dei redditi futuri attesi, ovvero come una sorta di reddito di lungo periodo. Corrispondentemente, il consumo ottimale risulta avere un andamento uniforme nel tempo e le decisioni di risparmio sono collegate principalmente alla componente transitoria del reddito, definita come la parte del reddito corrente eccedente rispetto al reddito permanente. In altre parole, in questo contesto il risparmio svolge una funzione di “stanza di compensazione” per consentire al consumo di mantenersi costante nel tempo, a prescindere dalla variabilità del reddito corrente.
La teoria del ciclo vitale, seppure per vie analitiche diverse, giunge a conclusioni analoghe per quanto riguarda le decisioni di consumo. Vale a dire, esse vengono prese in modo da mantenere un livello di consumo uniforme nel ciclo di vita. Se consideriamo il ciclo di vita di un individuo come ripartito tra un periodo di lavoro e un periodo di pensionamento, la teoria in esame conclude che gli individui risparmino nei periodi in cui il reddito è più elevato, per utilizzare quel risparmio nei periodi di basso reddito (normalmente l'età pensionabile). Questo per ciò che riguarda l'analisi delle decisioni di risparmio individuali. Le implicazioni più interessanti sono tuttavia quelle che riguardano il sistema a livello aggregato. Infatti, se la popolazione fosse costante, non ci sarebbe risparmio nel complesso, in quanto il risparmio dei giovani sarebbe controbilanciato dall'uso che ne farebbero coloro che hanno già raggiunto l'età della pensione. Se invece la popolazione fosse in crescita, il risparmio dei giovani sarebbe maggiore dell'uso che ne farebbero i vecchi, cosicché il risparmio complessivo sarebbe positivo.
• Disavanzo pubblico, debito pubblico, risparmio
Le imprese non sono gli unici soggetti interessati all'accesso ai risparmi delle famiglie. Quando si verifica un eccesso delle spese sostenute dallo stato e dalle altre amministrazioni nell'esercizio delle loro funzioni rispetto alle entrate (per lo più sotto forma di imposte e tasse) percepite in un dato periodo di tempo (per esempio, un anno) si forma un disavanzo che deve essere finanziato o con creazione di mezzi monetari, o con l'indebitamento presso gli altri operatori del sistema economico (famiglie e, in un'economia aperta, settore estero). Tale indebitamento assume la forma di passività finanziarie (titoli del debito pubblico) che vengono acquistate dagli operatori e costituiscono un credito da questi vantato verso lo stato. Lo stock del debito pubblico esistente in un dato istante è rappresentato dall'insieme delle passività finanziarie non ancora estinte in quell'istante: tale insieme è tipicamente il risultato di scelte di indebitamento succedutesi nel tempo a fronte di ricorrenti disavanzi.
Il disavanzo pubblico riduce il risparmio nazionale.
• L'identità di investimento e risparmio
Abbiamo visto come si generano e da che cosa dipendono l'investimento e il risparmio secondo le principali teorie economiche. Il problema ora è costituito dall'incontro tra l'intenzione di investimento e l'offerta di risparmio. L'incontro avviene sui mercati finanziari dove si presentano le imprese bisognose di mezzi finanziari e le famiglie dotate di eccedenze di mezzi finanziari per i quali cercano un impiego remunerativo. Per semplicità gli economisti neoclassici parlano di un unico mercato dei fondi investibili.
Ritorniamo a considerare l'identità fondamentale:
Introduciamo altre variabili, quali la spesa pubblica, G , e il prelievo fiscale, T. Possiamo scrivere allora:
L'ultima espressione si può scrivere anche
dove – T e + T si compensano. L'espressione è utile perché permette di distinguere il risparmio privato ( Y – T – C ) e il risparmio pubblico ( T – G ).
Il primo è quanto resta del reddito, pagate le imposte e detratta la spesa per consumi. Il secondo è dato dalla differenza tra imposte e spesa pubblica: se la differenza è positiva siamo in presenza di un avanzo di bilancio. Se è negativa, siamo di fronte a un disavanzo del bilancio pubblico.
In ogni caso
Nei mercati finanziari questa identità si concreta nell'incontro, come in qualsiasi altro mercato, della domanda di fondi investibili e nella offerta di risparmio. Il prezzo dei fondi investibili è costituito dal tasso di interesse, ossia dalla somma in cambio della quale i risparmiatori sono disposti a concedere l'uso dei loro risparmi agli investitori e, reciprocamente, la somma che questi sono disposti a pagare ai risparmiatori per usare i loro risparmi.
Il tasso di interesse esprime il grado di preferenza degli individui per i beni attuali rispetto ai beni futuri. Infatti, poiché i beni attuali sono sicuri e tangibili mentre quelli futuri sono incerti, i soggetti economici sono disposti a rinunciare a un bene oggi (l'uso del capitale disponibile) in cambio di un bene domani solo se adeguatamente remunerati.