La teoria moderna dell'evoluzione
Grazie agli sviluppi della genetica all'inizio del '900 si scoprì che le caratteristiche ereditarie sono controllate dai geni, localizzati nei cromosomi della cellula.
Grande importanza fu data anche allo studio statistico della variabilità genetica di una popolazione. Il matematico inglese G.H. Hardy e il medico tedesco W. Weinberg definirono, indipendentemente, le condizioni di stabilità o di equilibrio di una popolazione: si tratta della legge di Hardy-Weinberg secondo cui, in mancanza di forze perturbatrici, cioé in condizioni di equilibrio, le frequenze relative di ciascun allele di una popolazione si trasmettono inalterate di generazione in generazione.
In natura, tuttavia, è difficile che una popolazione sia perfettamente in equilibrio, perché si verifica sempre almeno una delle seguenti condizioni "perturbtrici":
- mutazioni;
- flusso genico
- dimensioni piccole;
- accoppiamenti non casuali;
- selezione naturale.
Pertanto la legge di Hardy-Wienberg può essere una conferma in termini matematici del potenziale evolutivo di una popolazione: perché vi sia un'evoluzione, occorre infatti che nel corso delle generazioni le frequenze alleliche di una popolazione non rimangano costanti, cioè che la popolazione non sia in equilibrio.
Verso la fine degli anni '40, in seguito alle conoscenze della genetica, della statistica, della biologia e della genetica molecolari fu così possibile definire una formulazione sintetica della teoria dell'evoluzione: fra gli organismi di una popolazione esiste una certa variabilità individuale, provocata dall'azione costante di mutazioni e dalla ricombinazione dei geni che si verifica a ogni generazione; tale variabilità è casuale e non orientata e su di essa agisce come fattore direttivo principale la selezione naturale.