10 pessimi (e irresistibili) motivi per diventare astronomi
Ma quanto può essere ingrata una materia come l’astronomia? Considerare la conoscenza dell’universo dal punto di vista del granello di sabbia. Non essere sicuri, neanche alla luce di una lunga esperienza dedicata all’osservazione, di avere davvero compreso molto di più di quando si è cominciato riservando più domande che risposte alla propria maturità. A parlarne è Tommaso Maccacaro, già direttore dell’Osservatorio Astronomico di Brera e poi Presidente dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF). Da poco in pensione. Quarant’anni dedicati all’astronomia X. Uno scienziato appassionato e recidivo.
1. Le trasferte improbabili.
“I viaggi sono trasferte niente male. Ho personalmente effettuato per molti anni osservazioni a La Silla e al Paranal, sulle Ande cilene, in Arizona e a Mauna Kea alle Hawaii, e alle isole Canarie dove è situato il nostro Telescopio Nazionale Galileo. Le località migliori al mondo dal punto di vista dell’osservazione astronomica. Proprio bei posti. Ho lavorato prima in Inghilterra, appena laureato, e poi negli Stati Uniti. Questo mi è stato possibile proponendo progetti legati al campo in cui mi stavo specializzando, l’astronomia X e l’astrofisica delle alte energie. Poi avviene che dopo diversi anni in un Paese che non è il tuo, senti la spinta forte ma combattuta di voler tornare indietro e dare il tuo contributo là dove risiede anche la tua storia. Anche in questo voler ritornare c’è un aspetto bello. Di questi soggiorni restano le relazioni che ho mantenuto per molto tempo, rapporti con i colleghi oltreoceano di progetti internazionali che perdurano”.
2. I turni di notte.
“Aver possibilità di accesso allo spettacolo di certe stellate nelle notti limpide è da sempre meraviglioso perché ti suggerisce la prospettiva dell’infinito. Perché una stellata è bella, e lo è incredibilmente, quando fa sorgere domande. Le mie, in particolare, si riferiscono al come di tutto questo: Come funziona l’universo, quali leggi lo regolano, domande che nel mio caso bussano di notte. L’universo è materia per umili, che accettino di scostarsi dal centro della riflessione e farsi piccoli. Le conferme astronomiche dello spazio in espansione, la possibilità che viviamo in un Multiverso, ci portano a voler stare in piedi altre notti e guardare ancora, per saperne di più e poi pensarci di giorno per cercare di capire”.
3. E non è tutto contemplare affascinati la bellezza degli astri.
“L’astronomia è una scienza che si tocca con mano. Perché maneggiare la strumentazione è “indossare” l’attrezzatura per vedere meglio. Man mano che i telescopi hanno iniziato a diventare più grandi e automatici, noi scienziati ci siamo un po’ allontanati dalle osservazioni dirette, limitandoci ad analizzare i dati e le immagini ottenute. Stando più al computer che col naso all’insù. Che è poi quello che fanno da sempre gli astronomi che lavorano con i dati registrati dai telescopi orbitali e dai satelliti. Io ho cominciato così, utilizzando un satellite inglese prima e l’Osservatorio Einstein poi per fare una “scansione” del cielo e cercare sorgenti X come le quasar e gli ammassi di galassie”.
4. Le attese lunghe al telescopio, talvolta vane.
“L’osservazione al telescopio, a dire il vero, ce la si deve guadagnare. L’astronomia è una Big Science e quindi richiede grandi sforzi da parte delle istituzioni che devono trovare collaborazioni internazionali per portare avanti ambiziosi e costosi progetti. Questo significa che i maggiori osservatori e le più potenti strumentazioni al mondo sono concesse per periodi limitati di tempo a singoli gruppi in base alla priorità e all’importanza delle ricerche proposte. Solo su questi presupposti si può accedere alla strumentazione. La sfida è dunque allettante, perché costringe a farsi venire buone idee”.
5. Non è una avventura che promette o permette “tutto e subito”.
“Il rapporto personale che si può avere con l’astronomia può diventare difficile se non si accettano anche gli aspetti talvolta noiosi, di routine. Così come l’essere, in alcune fasi, solo una piccola componente di un grande progetto. C’è anche, come si dice in gergo, da “girare la manovella”, ossia occuparsi di analisi ripetitive di grandi moli di dati o di passare il tempo a costruire e calibrare gli strumenti. Può succedere che si trascorra buona parte della propria carriera (anni) con il cacciavite in mano per costruire uno strumento o decenni per accompagnare (mentre si fa ovviamente anche qualcosa d’altro) un progetto spaziale dalla proposta al lancio e al suo utilizzo. Ma quando si arriva in fondo ci sono belle soddisfazioni da cogliere”.
6. Gli abbagli.
“Proprio perché i finanziamenti e l’uso della strumentazione sono a beneficio delle idee migliori e delle ricerche più interessanti, si può incappare nella tentazione di ricorrere a rivelazioni straordinarie per catturare l’attenzione dei media e attirare investimenti. Qui si rivela un po’ anche il lato meno nobile, ma molto umano, dello scienziato, che deve sgomitare per vedere la propria ricerca valorizzata, anche finanziariamente. Proprio per questo, però, ogni gruppo di ricerca lavora e pubblica i propri risultati in trasparenza per un accesso libero ai dati da parte della comunità scientifica, per riconoscere e riparare agli errori sistematici”.
7. La mia casa è ovunque posi il mio cappello.
“In Italia la ricerca non gode di buona salute. I giovani devono guardare a esperienze internazionali per potere non soltanto approfondire le proprie conoscenze, ma anche trovare occasioni professionali importanti. Il mercato si è contratto e i limiti organizzativi e strutturali delle istituzioni del nostro Paese fanno male alla scienza. Altri paesi investono ben di più di noi nella ricerca consapevoli che è alla base dello sviluppo tecnologico e sociale di un paese e hanno una politica di reclutamento più affidabile e regolare, come la vicina Francia, ad esempio. Un buon cervello, del resto, guarda volentieri oltre le frontiere”.
8. Più studi e più la materia è oscura.
“Sarebbe terribile se trovassimo presto le risposte a tutte le nostre domande. Sarebbe la morte della curiosità. Dopo una lunga carriera posso dire di avere le idee ancora poco chiare. Soprattutto perché negli ultimi 40 anni le cose sono cambiate parecchio. Abbiamo imparato a studiare il cosmo osservando oltre la banda elettromagnetica del visibile, scoprendo che il cielo è ancora più ricco e contiamo alcune centinaia di miliardi di galassie. Ci rendiamo conto, contemporaneamente, di conoscere soltanto il 4% dell’universo e chiamiamo “oscuro” ciò che non riusciamo ad agguantare, come la materia oscura: spero tanto che prima o poi qualcuno verrà a dirmi di cosa è fatta. Abbiamo “le prove” della sua esistenza grazie agli effetti che produce (dalle lenti gravitazionali ai movimenti delle stelle in una galassia e delle galassie negli ammassi), ma non riusciamo ancora a vederla e a capire da cosa è composta. Ecco, almeno questa curiosità vorrei soddisfarla!”.
9. E non affezionarti troppo alle tue certezze, presto potrebbero essere sconfessate!
"Chi si occupa di scienza lo sa, si procede per dubbi, prove ed errori. Spesso le verità scadono! C’erano il flogisto, il calorico, l’etere …. Così è pure, ovviamente, in astronomia. Alcuni scienziati ora sono scettici e pongono dubbi sull’esistenza dell’energia oscura, e in effetti questo è uno dei misteri più grandi che stiamo affrontando. Gli studiosi che stavano cercando di misurare la velocità con cui l’universo andava rallentando la sua espansione dovettero fare marcia indietro e riconoscere, sbalorditi, che lo spazio si sta “allargando” a velocità in aumento. Insomma, nulla è scontato. Per questo l’astronomia è tutt’altro che ingrata, anzi. È proprio appassionante!”.
10. Ma soprattutto: quando ti presenti e racconti cosa fai nella vita, quasi nessuno avrà capito esattamente di cosa ti occupi.
“Effettivamente, ho una mia personale strategia di difesa per quando mi si chiede di cosa mi occupo. Ad esempio, se sono in aereo e mi fa piacere scambiare quattro chiacchiere col mio vicino di viaggio, rispondo tranquillamente che sono astronomo e mentre scandisco queste parole faccio già mente locale sui possibili snodi che prenderà la conversazione: buchi neri e Ufo prevalentemente. Ultimamente, devo constatare, complice anche il momento di crisi economica che viviamo e lo scetticismo sui temi della spesa pubblica, non manca chi azzarda esplicita domanda ‘Ma, in pratica, voi che lavoro fate… concretamente?’ e questo mi genera un certo sconforto. Ho però anche una mia via di fuga: quando sono assorto nella lettura o non mi sento di iniziare una conversazione, rispondo candidamente ‘Sono un fisico!’”. Funziona.
Rosy Matrangolo
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