I luoghi del conforto: da Bergamo a Lourdes
Luoghi di sofferenza, di speranza, di grande condivisione e umanità. Con i documentari "Lourdes" e "Un luogo, una carezza", Vativision propone due viaggi all’interno di ciò che l’uomo può creare e donare agli altri.
In occasione del suo primo compleanno, Vativision propone una serie di film che accompagnerà lo spettatore in un viaggio emozionante attraverso le tappe dell’arte e della storia, della cultura e della fede, con uno sguardo di profonda umanità che si pone l’intento di indagare i diversi aspetti della conoscenza e della sua infinita bellezza. Un viaggio, appunto, che rispecchia lo scopo della piattaforma, e cioè quello di stimolare e recuperare le diverse riflessioni su quei valori terreni e spirituali così importanti per l’esistenza stessa dell’uomo.
Ci sono luoghi che ci accolgono nel dolore e nella speranza, quando l’uomo cerca qualcosa che riesca a contenere il difficile e incomprensibile disegno dell’esistenza che ci pone a contatto con la sofferenza. Lourdes e Un luogo, una carezza sono due film documentari che ci calano dentro e a contatto di quegli spazi, siano il famoso santuario della cittadina francese o la cappella dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo. Ma non si tratta solo di fede. In Lourdes è soprattutto il racconto personale dell’afflizione di alcune figure a emergere, di quella loro condizione che cerca aiuto e conforto durante un pellegrinaggio. Mentre Un luogo, una carezza ci porta a scoprire la realizzazione artistica che trasmette e amplifica bellezza e sostegno all’interno di un edificio religioso, preposto per la preghiera collettiva. Due mondi figli dell’umanità quindi, due viaggi all’interno di ciò che l’uomo può creare e donare agli altri.
L'apparizione di Lourdes
È una fredda mattina quella dell’11 febbraio 1858 a Lourdes, un paese ai piedi dei Pirenei, e una ragazzina di nome Bernadette, insieme alla sorella e a una loro amica, va a cercare legna secca da poter ardere. Giunte presso il greto del fiume Gave le tre si dividono e Bernadette rimane sola. Lì vicino c’è una grotta e Bernadette sente provenire un rumore da un cespuglio sulla roccia. Si avvicina incuriosita. È il momento dell’apparizione. La Vergine si manifesta a Bernadette e le indica un punto della grotta nel quale scavare con le mani, per far sgorgare una sorgente d’acqua miracolosa. La Madonna le apparirà per altre 18 volte e darà luogo a uno dei culti mariani più famosi della storia, ufficialmente riconosciuto dalla Chiesa. Oggi Lourdes è meta di 5 milioni di ammalati ogni anno.
Il pellegrinaggio
I registi Thierry Demaizière e Alban Teurlai, firmano un film documentario lucido e intenso, che vuole raccontare il sentire interiore e umanissimo di alcuni pellegrini. Lourdes ne segue il viaggio accompagnandoli per tutta la settimana che trascorreranno nel luogo santo. Con le loro voci fuori campo, da quando li vediamo prepararsi alla partenza, fino alla fine del loro soggiorno, ci racconteranno le loro storie personali di afflizione e tormento, nella loro solitudine o attorniati da infermieri e volontari che li aiuteranno e sosterranno nelle loro difficoltà. Un uomo che si prostituisce alla ricerca della propria identità sessuale, un altro costretto sulla sedia a rotelle da quando era bambino, un padre che accompagna uno dei suoi due figli gravemente malati. Sono alcuni dei pellegrini che ci appaiono in un toccante susseguirsi di immagini che colgono particolari sempre misurati e mai spettacolarizzanti, in una narrazione che sembra quasi essere un’indagine antropologica e spirituale allo stesso tempo.
L'assistenza e la cura
Volontari, infermiere ed infermieri, sono le altre figure protagoniste del film, che con la loro capacità di assistenza e solidarietà supportano chi, fra i pellegrini, non è in condizione di essere autonomo. Li vediamo già presenti sui treni organizzati per il viaggio con la loro caratteristica divisa, sempre pronti e disponibili, cordiali e sorridenti. O durante il pranzo degli ospiti ascoltiamo i più giovani fra loro che riescono a instaurare un rapporto di tenerezza con i malati più anziani. Fino a giungere alla conclusione del pellegrinaggio, dove la separazione tra chi supporta e chi ha bisogno di assistenza risulta doloroso perché nel frattempo si è creato un rapporto affettivo molto profondo. Ma forse uno dei momenti più significativi del documentario arriva quando scorrono le immagini degli infermieri che spingono le carrozzine dei malati lungo la grotta della Vergine. Si succedono una serie di inquadrature che indugiano sulle mani dei pellegrini che toccano la roccia, quasi a significare un contatto vivo e diretto con qualcosa di tangibile, di possibile, che richiama, nonostante il dolore, la sensazione della vita. E proprio l’essere sospinti e portati a poter sentire ancora la materia che richiama la speranza sembra essere davvero la cura migliore.
La madre dei gitani
A Lourdes non arriva solo chi spera in un miracolo o in una guarigione. Il film ci racconta anche un’altra storia. È quella di un gruppo di gitani che si ritrova in quel luogo sentito come spazio di accoglimento che da altre parti, proprio in virtù della loro esistenza errabonda, si trasforma in rifiuto. La Vergine viene descritta come figura materna, ospitale e pacificante, che non fa nessun tipo di distinzione, in un rapporto coi fedeli come se fossero, appunto, tutti bambini uguali che hanno bisogno di quell’indispensabile conforto materno. Tra i gitani vediamo circolare un video al telefono, fatto da qualcuno quel giorno, dove sembra apparire la Madonna nei pressi della grotta. Ed è proprio una componente di questo gruppo a spiegarci che la fede permette di vedere ogni cosa, che sia vera o meno non importa, quello che conta è ritrovare un senso collettivo di fiducia e condivisione. Ecco quindi alcune scene dove i gitani ballano e cantano, che apparentemente contrastano con il dolore del luogo, ma che forse ci dicono quanto tutti abbiamo bisogno di sentirci in qualche modo accolti.
L'acqua Santa
L’acqua benedetta di Lourdes è un elemento fondamentale per il luogo e i suoi significati più spirituali. L’acqua santa come fonte di risanamento per il corpo e simbolo di vita. Uno dei pellegrini protagonisti del film, un operaio paralizzato per una caduta dal tetto, ragiona sulla deformità e sulla malattia come elemento che all’interno della società differenzia e sottolinea maggiormente il distacco dagli altri. A Lourdes, invece, riconoscersi nell’estetica sofferente di chi si ha di fianco può donare nuovamente spirito vitale, perché può darci esperienza diretta di una condizione di umanità maggiormente bisognosa. La scena finale del documentario vede proprio quest’uomo immerso in una vasca d’acqua benedetta, disteso su una barella e aiutato da prestanti volontari. Un attimo dopo si addormenta, come pacificato. È questo, forse, il vero miracolo umano che il documentario riesce a raccontarci.
Il Papa buono
È il 28 ottobre 1958 e a Roma è appena stato eletto il successore Pio XII. Angelo Giuseppe Roncalli, nato a Sotto il Monte in provincia di Bergamo nel 1881, è il nuovo Papa e prenderà il nome di Giovanni XIII. Tutti lo ritengono un Papa di transizione, vista l’età ormai avanzata, ma la storia ci dirà tutt’altro. Giovanni XIII diverrà uno dei più significativi rifondatori della Chiesa, sentendo l’urgenza di rinnovare il Vaticano e la sua posizione all’interno dell’equilibrio instabile che in quegli anni divideva il mondo. Promotore di un Concilio Ecumenico che cambierà in modo radicale la Chiesa, attento ai problemi della gente comune e in particolare a quelli dell’infanzia, intelligente nel tenere una posizione diplomatica durante la Guerra Fredda e la corsa all’armamento nucleare, fautore di una spinta determinante per avvicinare sensibilmente le gerarchie ecclesiastiche al mondo laico, arriverà a meritarsi il famoso appellativo di Papa buono. Nato da una famiglia contadina e giunto al soglio pontificio, verrà beatificato da Papa Giovanni Paolo II il 3 settembre 2000.
Un luogo di bellezza
Un luogo, una carezza, diretto dal regista Marco Marcassoli, è un’opera che ricostruisce la progettazione e la realizzazione della nuova chiesa dell’Ospedale Giovanni XIII di Bergamo. Stefano Arienti e Andrea Mastrovito, due noti artisti di fama internazionale, insieme all’architetto Pippo Traversi e al mastro vetraio Lino Reduzzi, ci raccontano e ci mostrano le tappe pratiche e i problemi affrontati per riuscire a mettere in atto l’intento di squadra nella nuova chiesa ospedaliera. Un luogo e uno spazio pensato non solo per il suo fine pratico, bensì seguendo il solco della migliore tradizione italiana, (da Brunelleschi a Michelangelo, da Bernini a Caravaggio) dove l’elemento religioso si fonde con quello artistico, in un indissolubile rapporto reciproco che sfocia in una bellezza circostante da sentire e vivere, anche in un ambito di preghiera e devozione. La nuova chiesa è anche omaggio e simbolo alla città di Bergamo, falcidiata dalla pandemia del 2020, e ci consegna un messaggio di rinnovata speranza possibile nei momenti di dolore e sofferenza. Ad approfondire e arricchire lo spirito complessivo del documentario sono gli interessantissimi interventi del Vescovo della Diocesi di Vigevano, Maurizio Gervasoni.
La luce della speranza
Andrea Mastrovito ci illustra il suo lavoro nella chiesa, che ha riguardato le tre grandi immagini delle absidi della cappella, la più grande al centro e le due più piccole ai lati, spiegando le difficoltà di realizzazione delle sue opere in vetro. L’artista racconta di essere partito proprio dal tema della luce e dalla sua simbologia cristiana, soprattutto nella figura del Cristo in croce dell’abside centrale, dove ha voluto sfruttare l’effetto del bianco e dell’oro, per richiamarne preziosità e candore allo stesso tempo. Con l’aiuto e il supporto di Lino Reduzzi che ci descrive le difficoltà intercorse durante il taglio del vetro sui disegni di Mastrovito. Ed ecco che il documentario ci mostra le immagini del fare pratico. Calandoci nel laboratorio del vetraio restiamo affascinati dalla precisione e dalla tecnica dei macchinari e degli espedienti utilizzati per trattare questa fragilissima e preziosa materia che poi verrà montata e posta con cura nell’abside, senza eliminare del tutto il rischio di poter rompersi. L’effetto finale che Mastrovito aveva pensato sembra centrato in pieno. Vedendo l’esito finale non possiamo che ammirare lo splendore di una luce che infonde davvero un senso di aperta speranza.
Un percorso di rinascita
Stefano Arienti ha realizzato le pareti della chiesa, ideando un giardino che scorre lungo il perimetro laterale, punteggiato e intervallato da oculi che si aprono nei muri e lasciano filtrare la luce. Con la collaborazione dell’architetto Pippo Traversi l’opera riesce a innestarsi e adattarsi perfettamente al senso complessivo della struttura, dove tutto appare in un misurato ed essenziale equilibrio formale. Proviamo ad immaginarci i fedeli, o semplicemente dei curiosi visitatori, che percepiscono intorno a sé questo ambiente sobrio e profondo allo stesso tempo, con le incisive panoramiche che il regista Marcassoli ripete da più lati, senza mai voler insistere su precisi particolari, quasi che lasciasse proprio a noi il compito di guidare lo sguardo in uno spazio che appare un abbraccio, proprio come se ci trovassimo all’interno di un giardino e il candore delle pareti fosse la rifrazione di una luce che ci accoglie e ci ospita come un antico locus amenus.
L'arte e la fede
Un altro spunto di notevole interesse all’interno del film è la riflessione che Mastrovito, Arienti e Monsignor Gervasoni fanno sul concetto dell’arte contemporanea all’interno della chiesa e quale ruolo debba avere nei confronti dello spettatore. I due artisti richiamano il loro personale modo di sentire e riformulare ciò che hanno assimilato dal passato rielaborandolo in chiave moderna, e il loro tentativo di esprimersi facendo un ponte tra storia e presente. Monsignor Gervasoni interviene con una visione dell’arte che nello specifico è rappresentazione del sentire umano libero dalla razionalità, perciò la fede, e la sua condivisione attraverso l’arte, diventa un messaggio cristiano e umano allo stesso tempo, della fratellanza spirituale tra gli uomini che si realizza in un luogo, appunto, che è come una carezza.
Fabrizio Bernini
Foto apertura: Sergey Dzyuba-123.rf