I film più belli con Gian Maria Volonté, l'attore militante
Gian Maria Volonté è stato Uno, nessuno, centomila. Di lui Francesco Rosi disse che "rubava l'anima" ai personaggi che interpretava diventandone il clone. Una presenza che bucava lo schermo, ma anche un impegno civile e politico che riuscì a portare avanti grazie al suo talento. Ripercorriamo la sua carriera attraverso i film più belli che l'hanno visto protagonista.
Gian Maria Volonté è considerato uno dei più versatili e incisivi attori cinematografici e teatrali italiani dall'immenso impegno civile, raggiungendo i vertici delle sue capacità interpretative sotto la regia di Sergio Leone, Francesco Rosi, Elio Petri e Giuliano Montaldo. È stato veramente uno, nessuno, centomila, perché a ogni personaggio che ha interpretato, come Francesco Rosi disse di lui, “rubava l'anima”.
Incarnava i suoi personaggi in modo così mimetico che a volte ne diventava un clone, come fu per Aldo Moro in Todo Modo.
Il regista Elio Petri descrisse come l'attore si calava nei panni del presidente del Consiglio democristiano: “Volonté divenne evanescente, camminava come se fosse sulle nuvole, parlava a bassa voce, non ti guardava negli occhi, tutto preso com'era dal personaggio di Moro. Il suo fu uno sforzo di concentrazione eccezionalmente intenso. I critici ne parlarono come di Noschese, e anche la gente dell'ambiente, sempre tanto benevola. Per quel personaggio, Volonté e io ci servimmo molto della moviola. Avevamo radunato molti pezzi di repertorio su Moro. I primi due giorni di lavorazione di Todo modo furono cestinati da me, d'accordo col produttore e con lo stesso Volonté, perché la somiglianza di Gian Maria con Moro era nauseante, imbarazzante, prendeva alla bocca dello stomaco. In quell'immagine risultava tutta l'insidiosità, l'astuzia dell'uomo politico. Dissero la battuta di Noschese, gli amici”.
Il 6 dicembre del 1994 Gian Maria Volonté ci lasciava, colto da attacco cardiaco in una camera di albergo in Grecia, dove stava girando un film di Theo Angelopoulos. Noi lo ricordiamo nell'anniversario della sua morte, attraverso la sua filmografia che mette straordinariamente in luce la profonda concordanza tra il suo modo di essere e di recitare.
La biografia di Gian Maria Volonté
Gian Maria Volonté nacque a Milano il 9 aprile 1933, ma crebbe a Torino. Il padre era un militare fascista originario di Saronno, nel 1944 al comando della Brigata nera di Chivasso; la madre Carolina Bianchi apparteneva a una benestante famiglia di industriali milanesi.
Volonté abbandonò gli studi a 14 anni e decise di trovare un impiego per aiutare la famiglia in difficoltà economiche dopo l'arresto del padre. Nel 1950, dopo alcuni mesi in Francia come raccoglitore di mele, tornò in Italia e cominciò a frequentare lo Studio drammatico internazionale I Nomadi di Edoardo Maltese. In questo periodo si appassionò a Camus e Sartre. Poco dopo entrò nella compagnia teatrale di strada I carri di Tespi. Nel 1954, si trasferì definitivamente a Roma dove frequentò l'Accademia nazionale d'arte drammatica, e dove si fece notare come “giovane di grande talento”; ebbe come maestro Orazio Costa.
Nel 1960 l'incontro teatrale più significativo per Volonté fu quello con la compagnia degli Attori Associati, gruppo di cui facevano parte Giancarlo Sbragia, Enrico Maria Salerno e Ivo Garrani.
Il cinema non poteva non notare un simile talento e così i migliori registi lo chiamano come protagonista di film che hanno scritto la storia del cinema italiano e internazionale.
Nel febbraio del 1965, una rappresentazione privata del Vicario in programma a Roma, che accusa papa Pio XII di connivenza con fascismo e nazismo, con protagonista Gian Maria Volonté, fu dapprima interrotta dalla polizia che impedì persino l'accesso alle strade adiacenti al luogo di rappresentazione, poi fu bandita per decreto prefettizio dal territorio di Roma con la giustificazione che essa avrebbe creato problemi all'ordine pubblico e non era rispettosa dei patti concordatarî sottoscritti tra Italia e Santa Sede.
Molte pellicole che lo videro protagonista vennero sequestrate e censurate; nel 1971 venne arrestato in Piazza di Spagna durante una manifestazione operaia cui partecipava per solidarietà ai lavoratori della Coca-Cola in sciopero da due mesi.
L'interpretazione è ancora teatrale nei primi sceneggiati televisivi cui prende parte: nel 1957 Volonté ebbe la prima esperienza televisiva recitando in Fedra, tratto dall'omonima tragedia di Jean Racine, accanto a una delle signore della scena italiana, Diana Torrieri. Nel 1950 recita nello sceneggiato L'idiota e nel 1967 è Michelangelo Merisi nello sceneggiato Rai biografico Caravaggio in 3 puntate. Caravaggio è interpretato come “un forestiero che viene dal basso”, autoritratto del pittore stesso nello sceneggiato. Tormentato, bastonato e maledetto che incontrerà un altro personaggio che Volontè interpreterà poi per il cinema: Giordano Bruno, altro ribelle della Storia.
Il cinema si accorgerà di Volontè poco dopo e sarà l’inizio di uno straordinario percorso che ha cambiato radicalmente la recitazione stessa degli attori di cinema. Volontè è stata la perfetta fusione fra le dimensioni di attore e di interprete, una sintesi unica fra verità ed epicità. Questo fu L’Idiota di Dostoevskji della Rai.
Nel 1972 a Cannes come miglior film vennero premiati ex equo Il caso Mattei e La classe operaia va in paradiso, in cui è protagonista. “Io cerco di fare film che dicano qualcosa sui meccanismi di una società come la nostra, che rispondano a una certa ricerca di un brandello di Verità. Essere un attore è una questione di scelta che si pone innanzitutto a livello esistenziale!”: c'è un'esatta corrispondenza fra l’attore e l’uomo, come se non ci fosse uno stacco. Le sue scelte, la coerenza delle idee, le decisioni prese anche rifiutando parti che non sentiva, anche quando non era finanziariamente comodo. E nello stesso tempo assumendo decisioni che lo hanno reso celebre, come il primo western con Sergio Leone e Clint Eastwood, Per un pugno di dollari, un successo clamoroso e inaspettato.
Famosa di Volonté è rimasta la sua tecnica recitativa, anche descritta dai suoi colleghi come inflessibile basata sullo studio continuato e senza sosta sui personaggi. Era un metodo che gli arrivava prima di tutto dal teatro. Riscriveva tutte le parti, tutto il testo. Imparava a memoria tutto. Ci teneva a essere inattaccabile. Studiava i testi e leggeva ogni cosa potesse venirgli utile. Una preparazione umana e intellettuale completa. Se poteva sentiva, intervistava le persone perché gli dessero qualche spaccato o contributo per la creazione del suo personaggio. Nel complesso metteva insieme diversi metodi. Nonostante ci fosse tanto studio, era un processo istintivo.
C'era già in lui un'immagine ricca di memorie forti, di un tempo perduto, il tempo delle lotte e delle speranze. Eppure lui si definiva “soltanto un buon attore, niente altro. Uno che ha affinato gli strumenti espressivi”.
Come nella vita reale, così anche nel suo percorso cinematografico Volontè dimostra sempre scelte coerenti con un cinema di impegno politico e civile da Un uomo da bruciare nel 1962, dei fratelli Taviani, liberamente ispirato alla vita del sindacalista socialista Salvatore Carnevale, passando dai “film utili” diretti da Elio Petri, che diedero a entrambi il successo internazionale e di pubblico meritato, a Una storia semplice diretto nel 1991 da Emidio Greco sull'omertà mafiosa, fino all'ultimo Lo sguardo di Ulisse di Theo Angelopoulos, film sull'odissea dei fratelli Manakis per i problemi interni causati dalla caduta del comunismo; dalla Bulgaria alla nascente Repubblica di Macedonia, film che Volontè non porterà a termine per la morte per attacco cardiaco.
Il funerale ebbe luogo a Velletri, sotto la pioggia battente, nella piazza del municipio che lo aveva visto protagonista assieme ai suoi concittadini. Angelica Ippolito, l’ultima compagna di Volonté, invitò tutti ad andare al microfono per lasciare una testimonianza perché come dice un detto gitano, che le aveva confidato Koudelka, fotografo noto per il suo reportage sulla Primavera di Praga: “un uomo non sarà mai morto finché ci sarà qualcuno ce lo ricorderà”. Ricordiamolo insieme attraverso i suoi migliori film.
I film più belli con Gian Maria Volonté
Gian Maria Volontè ha utilizzato ogni film in cui ha recitato non solo come forma di espressione artistica ma come vera e propria missione politica e sociale. In questo senso, Volonté ha trasformato la sua carriera in un manifesto politico, diventando non solo un volto del nostro cinema ma anche dell’Italia della contestazione. E in questo è stato senza dubbio il migliore.
Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (1969)
E' il primo dei “film utili” diretti da Elio Petri che, alle soglie del Sessantotto, momento di intenso fervore e tensione politica e sociale, decide di dare una svolta alla sua opera cinematografica, realizzando “film che [potesse] sentire utili a qualcosa”. Il regista romano e Ugo Pirro scrivono insieme la sceneggiatura e la propongono a Gian Maria Volontè, che se ne innamora.
L’ex-capo della Squadra Omicidi di Roma (Volontè), promosso alla direzione dell’Ufficio politico, certo di essere al di sopra di ogni sospetto, uccide la sua amante (Florinda Bolkan) disseminando volontariamente ovunque prove che lo incastrano inequivocabilmente. Nessuno però può smascherare l’ispettore, perché come dice Kafka, citato prima dei titoli di coda: “Qualunque impressione faccia su di noi, egli è un servo della legge, quindi appartiene alla legge, e sfugge al giudizio umano”. A pochi giorni dalla fine delle riprese, una bomba esplode nella sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura in piazza Fontana, le indagini sulla strage vengono subito orientate sul Circolo anarchico 22 Marzo; uno dei fermati è costretto a mangiare sale: Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto appare profetico perché nel film l’esplosione di una bomba nella questura provoca una repressione indiscriminata nei confronti della sinistra estrema e similarmente il commissario nella scena finale è costretto a mangiare sale. Nonostante la coincidenza, il film dà al regista numerosi riconoscimenti e prestigio internazionale: nel 1970 riceve l’Oscar per il miglior film straniero, il Premio speciale della giuria e il Premio Fipresci a Cannes, il David di Donatello a Gian Maria Volonté, il premio della stampa cinematografica internazionale a Cannes “per il coraggio civile, la qualità della sceneggiatura e la ricerca di un linguaggio e di uno stile cinematografico”.
Uomini contro (1970)
Nel 1970, sull'impreparazione e l'arroganza dei comandanti militari italiani, gira per Francesco Rosi Uomini contro, liberamente ispirato al romanzo di Emilio Lussu Un anno sull'Altipiano. Ambientato nella prima guerra mondiale, quest'opera, di impronta pacifista e anti-autoritaria, mette in luce la follia della guerra. Nelle ultime parole del tenente Ottolenghi, interpretato da Gian Maria Volonté, traspare la saggezza unita all’esasperazione di colui il quale ha visto il massacro di povera gente contro altra povera gente: “Basta, con questa guerra di morti di fame contro morti di fame”.
Sbatti il mostro in prima pagina (1972)
Della manipolazione dell'informazione parlerà anche Sbatti il mostro in prima pagina di Marco Bellocchio che mette in evidenza gli stretti legami fra stampa, politica e forze dell'ordine per indurre una precisa reazione nell'elettorato, durante il clima teso degli anni di piombo.
Documenti su Giuseppe Pinelli (1970)
Il secondo “film utile” con Petri è del 1970, quando il Comitato cineasti contro la repressione produce Documenti su Giuseppe Pinelli. Gian Maria Volontè è la voce narrante, nonché sottufficiale dei carabinieri che ricostruisce le tre versioni date dalla polizia sul presunto suicidio dell'anarchico Pinelli.
"Sacco e Vanzetti" e "Ogro"
Biografia di anarchici è anche Sacco e Vanzetti di Giuliano Montaldo (1971) sull'attentato dinamitardo attribuito al movimento anarchico e mai rivendicato attribuito a Sacco e Vanzetti, due anarchici italiani emigrati negli Usa a inizio 900, processati e condannati a morte.
L'attentato per liberare 150 detenuti politici l'Eta spagnola che dell'ammiraglio Luis Carrero Blanco, numero due del regime falangista, è fatto saltare in aria dall'Eta, è effettivamente compiuto nella finzione di Ogro diretto da Gillo Pontecorvo e interpretato da Volontè.
La classe operaia va in paradiso
Sempre per conto del Comitato cineasti, Petri e Pirro conducono un’inchiesta nella fabbrica Fatme, riprendendo una manifestazione operaia scatenata dal licenziamento di un lavoratore di nome Timperi che allibito guardava i suoi compagni di lavoro lottare per lui. “Quell’operaio diede origine a Lulù Massa, il protagonista de La classe operaia va in paradiso”, interpretato nuovamente dal compagno militante, stavolta nei panni della vittima del padronato.
Lulù Massa – che contiene già nel nome la frustrante reiterazione della catena di montaggio – è il migliore cottimista della fabbrica in cui lavora, lodato dai padroni, odiato dai colleghi. In un incidente sul lavoro perde un dito e lo stacanovismo. Presa coscienza della situazione operaia, inizia a partecipare alle lotte sindacali in modo sempre più radicale, finché, riconosciuto come agitatore in uno scontro con la polizia, viene licenziato in tronco. Abbandonato dagli studenti contestatori, Lulù riesce a riottenere il lavoro grazie al sindacato. Sono diventati iconici il suo incidente sul lavoro e la conseguente lotta collettiva operaia. Il film diede un aiuto all'emancipazione del lavoratore.
In La classe operaia va in paradiso - Retroscena di un film novarese, si ricorda Volontè filmare le reali reazioni degli operai in consiglio comunale occupato dagli operai della Falconi per intervenire sui tafferugli della fabbrica in agitazione contro i padroni; l'attrice del Piccolo Mietta Albertini, che nel film come Adalgisa consuma un freddo amore con l'attore, ricorda che era imbarazzata all'idea di girare una scena con un attore che “era già un mito”.
Altri operai lo ricordano “squisitamente intelligente”, dotato di “acume e profondità di pensiero”. Camminava avanti e indietro a testa bassa, proprio come poi reciterà nel film; le risse finte e reali al punto da essere ritenute anch'esse fiction, ma anche la solidarietà che Volontè rivolse agli operai comparse che volevano un aumento per lavorare all'epifania.
Todo Modo (1976)
Todo Modo è uno dei più controversi film della cinematografia italiana e segna l’ultima esperienza del duo Petri-Volontè, iniziato con un'altra trasposizione da Sciascia, A ciascuno il suo. L'attore si accosterà a Sciascia ancora nel 1990 con Porte aperte di Gianni Amelio.
Todo modo, girato negli ultimi mesi del 1975, per l'anticipazione delle elezioni, uscì casualmente in coincidenza con la campagna elettorale nel 1976 (anno di crisi per la Dc), suscitando forti polemiche alimentate dal manifesto richiamo ai principali esponenti della Democrazia Cristiana e dalla somiglianza tra Volontè e Moro che Petri ricorda “nauseante, imbarazzante, prendeva alla bocca dello stomaco” al punto da dover cestinare i primi due giorni di lavorazione. Dopo la morte di Moro, il film che ne aveva alluso nel finale, rimane negletto fino al 2014, quando viene restaurato e rimasterizzato.
I film "biografici di Gian Maria Volontè
Volontè realizza diversi film biografici, quasi riportando in vita sul grande schermo i protagonisti. Scopriamone alcuni.
Il caso Mattei
In Il caso Mattei, unendo con rigore cronaca, ricostruzione documentaria e libera rievocazione, attraverso l'utilizzo di una pluralità di fonti e punti di vista (interviste, reportage, diapositive, intervenendo talvolta in prima persona per la formulazione di domande contestuali alla realizzazione del film) Francesco Rosi realizza con notevole efficacia il ritratto di Enrico Mattei, interpretato da un sempre strepitoso Gian Maria Volontè.
Il caso Mattei è un thriller politico, dal linguaggio cinematografico anticonvenzionale e dall'originale sobrietà di stile che raggiunge lo spettatore non solo emotivamente ma soprattutto lo coinvolge nella ricerca di nessi segreti e nascosti del potere, costringendolo a intraprendere un cammino di presa di coscienza. È l'impegno civile, il distacco critico, l'indagine sull'accertamento dei fatti e l'interrogazione sulle loro cause di un "condottiero" (così Fellini definiva Rosi) capace di rendere concreta per immagini una speculazione astratta attraverso la regia, rendendoci partecipi della sua indignazione morale e costante ricerca intellettuale.
Lucky Luciano (1973)
Rosi lo chiama anche per il ritratto di Lucky Luciano (1973), il boss espulso dagli Usa prima di aver finito di scontare la sua pena, per tornare in Italia, da Napoli continua a esercitare il monopolio su molti traffici illegali, eludendo ogni controllo grazie a una fitta rete di conoscenze e protezioni.
Giordano Bruno (1973)
Per Giuliano Montaldo, nel 1973 è Giordano Bruno, uno dei pensatori fondamentali del Rinascimento. Questo frate domenicano italiano abbandonò il suo ordine religioso e si dedicò all'insegnamento in tutta Europa. Tra le idee che insegnava c'erano l'incomunicabilità di ogni verità ultima e la completa relatività della verità ordinaria. Insegnò anche tolleranza religiosa e ci fa comprendere che la libertà è scelta quotidiana e la conoscenza militanza. Per queste e altre deviazioni fu messo al rogo dall'Inquisizione.
Il tema della libertà è tracciato in chiave civile come spiega con il suo inconfondibile timbro Volontè-Bruno: “Non importano le armi: la battaglia per la libertà di pensiero è il passo obbligato di ogni uomo civile, e più oggi che nuovi potentati minacciano di infeudarne le coscienze al mito del benessere, dell’ordine, della tecnologia”.
Non potendo ricostruire il personaggio storico secondo un'analisi scientifica della persona reale, il Giordano Bruno di Volonté si discosta dalla figura del filosofo tradita dalle fonti storiche: infatti, se la storiografia delinea l’immagine di Bruno come un uomo dall’aspetto dismesso, opposta risulta l’interpretazione dell’attore, il quale fa di Bruno un uomo affascinante e dalla forte personalità.
Cristo si è fermato a Eboli (1979)
Un altro saggio è protagonista di Cristo si è fermato a Eboli, di Francesco Rosi (1979), in cui Gian Maria si esprime in tutta la sua grandezza di attore e di uomo. Il filone principale del film è tanta umanità.
Volontè interpreta Carlo Levi, che si spoglia di tutto e scende negli inferi della miseria, dell’analfabetismo, della malattia e dà il suo aiuto e la sua voce alla povera gente. C’è l’antifascismo, la Persona che viene condannata per le sue idee e non si piega,vive nella propria dignità, dimostrando con il suo sapere di essere amato, di poter cambiare l’ordine delle cose, facendo a un certo punto le veci dei medici del paese, prendendosi gioco del podestà. C’è l’amore per la sorella (Lea Massari), con cui ha un dialogo aperto, sincero, un vero confronto. C’è l’amore per tutti, uomini e animali. Infine, al ritorno a Torino, le sue considerazioni, le conclusioni, il confronto con gli intellettuali. L’ammissione della distanza fra gli ideali e la realtà del proletariato. Si avverte la vicinanza ad Antonio Gramsci e alla questione meridionale.
L'opera al nero (1988)
L'opera al nero (L'Œuvre au noir) è un film del 1988 diretto da André Delvaux, tratto dal romanzo omonimo di Marguerite Yourcenar. Racconta la vita vagabonda passata in viaggio per l'Europa del medico e alchimista Zenone Ligre. Accusato di avere dei rapporti omosessuali con un giovane frate; processato da un tribunale dell'Inquisizione e accusato di stregoneria, di omicidio e di rapporti contro natura, preferisce scegliere la morte di sua mano piuttosto che essere bruciato sul rogo.
In una intervista a Irene Bignardi, il regista Delvaux disse di Volonté: "Ha la faccia più bella del mondo. Una faccia da leone medievale".
Non solo spaghetti western
I suoi film fanno sempre incetta di premi a livello internazionale, motivo per cui il nostro attore è celebre soprattutto all'estero per i western con Sergio Leone, cui l'attore non dà molta importanza e che invece gli daranno fama imperitura anche all'estero. Interpreterà altri film appartenenti al filone degli spaghetti-western, come Faccia a faccia (1967) di Sergio Sollima, al fianco di Tomas Milian che ritroverà l’anno successivo in Banditi a Milano di Carlo Lizzani.
Per un pugno di dollari
Su Per un pugno di dollari disse a David Grieco su l'Unità: “Sto facendo un filmetto in fretta e furia per pagare i debiti del Vicario (pièce teatrale da lui prodotta e interpretata finita sul lastrico); figuratevi che è un western italiano, e si intitola Per un pugno di dollari. Lo faccio veramente per un pugno di dollari, ma certo non può nuocere alla mia carriera. Mi hanno conciato come un matto, sono irriconoscibile, e nei titoli di testa avrò persino uno pseudonimo americano, John Wells. Insomma, non corro alcun rischio. Chi volete che vada a vederlo?”.
Alla fine del 1971 il film arriva alla cifra record di 3 miliardi e 182 milioni di lire, testimonianza di un successo senza precedenti; nello stesso periodo, negli Usa il film aveva percepito 3 milioni e 500 000 dollari di incassi, fino a raggiungere gli 11 milioni totali. Anche in Spagna e in Germania il film si affermò per gli incassi molto alti.
Anni dopo l'attore ammette di essersi divertito a girare con il regista della trilogia del dollaro, perché sebbene Per un pugno di dollari non sia un film impegnato come che girerà: “Sergio Leone, nel suo genere, è uno che le cose le sa fare bene. È una persona simpatica, durante la lavorazione aveva una sua voglia di giocare, una sua dimensione del gioco molto interessante”.
Per qualche dollaro in più
Nel 1965, Gian Maria Volonté viene chiamato di nuovo da Sergio Leone in Per qualche dollaro in più in cui interpretava El Indio, sadico criminale tossicodipendente. L’interpretazione lo consacrò definitivamente al grande pubblico rendendolo, di fatto, il perfetto cattivo del genere.
Vento dell'Est
Nel 1969 Jean-Luc Godard, Roger e Wiazemsky partono insieme al leader studentesco Daniel Cohn-Bendit per Roma, dove hanno intenzione di lavorare a un "western marxista", o meglio un "western gauchiste spaghetti", con Gian Maria Volonté come attore protagonista. Nel progetto viene coinvolto anche il regista Marco Ferreri e insieme girano Vento dell'est (Le Vent d'est) del Gruppo Dziga Vertov attribuibile a Jean-Luc Godard, Jean-Pierre Gorin e a Gérard Martin. Ne esce fuori un dibattito politico intervallato da diverse immagini: una manifestazione operaia e un'assemblea della troupe che le ha realizzate. Nella seconda parte del film, si procede a un'autoanalisi di quanto si è visto in precedenza.
Quien Sabe?
Quien Sabe? di Damiano Damiani è un altro western affatto insolito grazie a tutti i sottotesti politici che fanno del film un'opera diversa dal genere. Un western? Certamente l'ambientazione è altra, il tema sulla rivoluzione messicana, quindi cosa ben diversa, anche se allora tutto riportava facilmente al genere primario. Gli ideali messi a confronto con il tornaconto e ci sono personaggi che li rappresentano, ma c'è anche un 'evoluzione che rappresenta la rivoluzione e la crescita delle idee.
L'armata Brancaleone
Il duello più assurdo non lo vede protagonista di un western, ma in quello che vede Gian Maria Volonté forse nel ruolo più diverso della sua carriera, escluso A cavallo della Tigre: Teofilatto dei Leonzi in L'armata Brancaleone di Mario Monicelli, cui venne imposta la sua presenza famoso per la sua partecipazione, con il ruolo di antagonista, ai film western di Leone. In parte, lo interpreta in maniera mirabile e certamente inaspettata, la erre moscia aiuta e completa tutto il suo operato, ma Monicelli ha confessato dopo anni che avrebbe voluto al suo posto Raimondo Vianello, ma fu costretto dalla produzione. E da qui si vedono che alle volte le opportunità si acquisiscono anche inaspettatamente, anche se Monicelli rimarrà convinto che il ruolo non era adatto.
Volontè fa il suo ruolo in maniera divertita, con ironia, duello e duetto per tutto il film ce lo dimostra. Monicelli ricorda: “Io invece cercavo un tipo diverso, un attore molto magro, rastremato, evanescente, come sono raffigurati i bizantini, ma al contempo mascalzone. Avrei voluto prendere, non gliel’ho mai detto, Vianello, perfetto con la sua aria aristocratica fasulla. Di Volonté non fui mai soddisfatto perché invece era robusto, corpulento, forte, più simile a Brancaleone. Infatti lui e Gassman, pur mantenendo tra loro il massimo fair-play, entrarono in competizione sull’immagine dell’attore. Si sfidavano su chi fosse il più forte, finché, una sera in un ristorante a Crotone fecero una gara di lotta e vinse Gassman”.
Nel duello i due cavalieri dell'armata si sfidano a colpi di spada in un campo di grano senza riuscire a sferrare un solo colpo all’avversario, con il risultato di falciare l’intero campo. Volontè con cappello da puffo, che copre un orribile taglio di capelli a scodella, ricorda della scena: «Mi divertii molto a fare L’armata Brancaleone. La chiave del film era soprattutto l’esagerazione, e la chiave del mio ruolo non poteva che essere la stessa. Tutto era già chiaro e definito nella sceneggiatura di Age e Scarpelli”, affermò l'attore milanese.
Una cosa è certa: come Ramon che Gian Maria Volontè interpreta nel primo dei suoi film, l'attore milanese con ogni sua interpretazione colpisce sempre al cuore: “Al cuore, colpisci al cuore Ramon”, riuscendo a emozionare lo spettatore anche nei ruoli in cui è il cattivo.
Laura Cusmà Piccione
Foto di Apertura: Foto Cecilia Fabiano/LaPresse