Strage di Capaci: una ferita ancora aperta nel cuore dell’Italia
Le cose da sapere sul tragico attentato mafioso in cui persero la vita Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e i tre agenti della scorta Rocco Dicillo, Vito Schifani e Antonio Montinaro.
“In Sicilia la mafia colpisce i servitori dello stato che lo stato non è riuscito a proteggere”.
Giovanni Falcone pronunciò queste parole consapevole forse del suo destino, un destino che lo portò alla morte il 23 maggio del 1992. Proprio lui, coraggioso “servitore dello Stato”, magistrato eroico che lo stesso Stato non riuscì a proteggere da quella mezza tonnellata di tritolo piazzata sull’autostrada Palermo - Mazara del Vallo all’altezza del comune di Capaci.
Chi era Giovanni Falcone
Falcone nacque a Palermo il 18 maggio del 1939. Si laureò con 110 e lode nel 1961 nella facoltà di Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Palermo, con una tesi sull'Istruzione probatoria in diritto amministrativo per poi intraprendere il percorso che lo portò a diventare magistrato.
Negli anni '80, insieme al suo amico e collega Paolo Borsellino, si impegnò in modo fermo, appassionato e coraggioso nella lotta alla mafia. In tal senso i due, insieme, hanno indagato e scoperto il linguaggio e i segreti dell'organizzazione criminale, colpendola nel profondo. Un lavoro impeccabile, che però è costato loro la vita. Borsellino fu ucciso a Palermo (leggi l'intervista al fratello Salvatore), sotto casa di sua madre, dopo circa due mesi dalla morte di Falcone: era il 19 luglio 1992 quando una Fiat rubata imbottita di esplosivo fu fatta deflagrare al civico 21 di via D’Amelio.
Strage di Capaci: l'attentato, le vittime, le indagini
Il giorno in cui avvenne la strage di Capaci Falcone stava tornando a Palermo da Roma. Ad aspettarlo all’aeroporto c’erano 3 Fiat Croma blindate con la scorta: Falcone si mise alla guida di una di esse. Accanto a lui c’era la moglie, mentre l’autista giudiziario Giuseppe Costanza occupava il sedile posteriore. L’auto, in viaggio verso Palermo, era preceduta e seguita dalle altre due, di scorta. Alle 17:58, nei pressi dello svincolo di Capaci, Giovanni Brusca, che osservava da lontano, azionò una carica di cinque quintali di tritolo. Morirono tutti gli agenti della prima macchina di scorta, colpita in pieno. Falcone morì durante il trasporto in ospedale, mentre la moglie, ferita gravemente, morì quella sera stessa, intorno alle 22. Feriti i tre agenti della seconda macchina di scorta. Illeso l’autista Costanza, che viaggiava nella stessa macchina del giudice. Il terribile attentato ricordato come "Strage di Capaci" portò quindi alla morte non solo del magistrato Giovanni Falcone ma anche di sua moglie Francesca Morvillo e dei tre agenti della scorta Rocco Dicillo, Vito Schifani e Antonio Montinaro.
I funerali
I funerali delle vittime si tennero il 25 maggio 1992 a Palermo. Storico il discorso, disperato e sofferto, della moglie dell'agente Schifani: Io, Rosaria Costa, vedova dell'agente Vito Schifani mio, a nome di tutti coloro che hanno dato la vita per lo Stato, lo Stato, chiedo innanzitutto che venga fatta giustizia, adesso. Rivolgendomi agli uomini della mafia, perché ci sono qua dentro (e non), ma certamente non cristiani, sappiate che anche per voi c'è possibilità di perdono: io vi perdono, però vi dovete mettere in ginocchio, se avete il coraggio di cambiare... Ma loro non cambiano, loro non vogliono cambiare. Vi chiediamo per la città di Palermo, Signore, che avete reso città di sangue, troppo sangue, di operare anche voi per la pace, la giustizia, la speranza e l'amore per tutti. Non c'è amore, non ce n'è amore…
L’inizio di una serie di attentati mafiosi
La voragine di trenta metri che squarciò e ferì l’Italia il 23 maggio del 1992 segnò l’inizio di quello che è stato un periodo caratterizzato da altri attentati di stampo mafioso volti a minare le istituzioni e a colpire fisicamente i fautori della lotta alla malavita organizzata.
I segnali di avvertimento
D’altronde, chiari segnali di avvertimento erano giunti già a partire dagli anni ’80 quando venne a costituirsi un pool anitmafia tra i cui membri figuravano appunto i magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e che portò, nell'estate del 1985, all’omicidio di Giuseppe Montana e Ninni Cassarà, stretti collaboratori dei due giudici. Proprio a partire da questi due attentati si cominciò a temere anche per la vita di Falcone e Borsellino.
L’inasprirsi delle tensioni
Le tensioni si accentuarono maggiormente in seguito al celebre maxiprocesso di Palermo (iniziato il 10 febbraio 1986 e conclusosi il 19 dicembre 1987) ai danni di Cosa Nostra che si chiuse con la condanna di 360 dei 400 imputati. La strage di Capaci fu dunque il tragico e, forse inevitabile, epilogo di una concreta e profonda lotta alla mafia cui alcuni eroici magistrati avevano dato inizio intenzionati ad andare avanti, esclusivamente per il bene del Paese.
Le indagini
Tuttavia, a distanza di molti anni, le indagini non hanno portato a chiarire quali siano stati i veri mandanti dell’attentato. Nel 1993 la Procura di Caltanissetta aprì un filone d'indagine per accertare le responsabilità nelle stragi - in cui persero la vita prima Falcone e poi Borsellino - di eventuali mandanti esterni all’organizzazione mafiosa ("mandanti occulti”). Dopo diversi anni e diversi approfondimenti, nel 2013 l'indagine sui mandanti occulti venne archiviata: Da questa indagine non emerge la partecipazione alla strage di Capaci di soggetti esterni a Cosa nostra. La mafia non prende ordini e dall'inchiesta non vengono fuori mandanti esterni. Possono esserci soggetti che hanno stretto alleanze con Cosa nostra ed alcune presenze inquietanti sono emerse nell'inchiesta sull'eccidio di Via D'Amelio: ma in questa indagine non posso parlare di mandanti esterni. (Sergio Lari, procuratore di Caltanissetta, in un'intervista al Giornale di Sicilia, aprile 2013).
Quel che è certo è che gli esecutori materiali della strage furono cinque tra cui il boss Giovanni Brusca. In tempi più recenti, dopo le confessioni del pentito Spatuzza, sulla strage di Capaci si sono aperti nuovi scenari che nel 2008 hanno portato la Cassazione a condannare dodici persone.
Il ricordo di Giovanni Falcone
L’opinione pubblica non ha mai dimenticato e non dimenticherà Giovanni Falcone che ogni anno, il 23 maggio, è ricordato con manifestazioni commemorative e azioni concrete di informazione anche nelle scuole affinché le nuove generazioni siano al corrente di uno dei peggiori fatti di cronaca che sconvolsero il nostro Paese.