Alternative o complementari?

Quello della valutazione dell'efficacia delle cure non convenzionali è il problema centrale della controversia tra medicina ufficiale e medicine alternative.

L'efficacia non costituisce l'unico parametro considerato dai pazienti quando decidono di rivolgersi alla medicina dolce: i bisogni dei malati sono spesso di altro tipo, dato che alle loro esigenze psicologiche, relazionali, esistenziali e spirituali la pratica medica convenzionale non è sempre in grado di offrire una valida risposta.
 

Tuttavia, il parametro dell'efficacia diventa rilevante anche per i terapeuti alternativi nel momento in cui si pone come condizione per un riconoscimento ufficiale e legislativo. I medici omeopati, per esempio, chiedono che la prescrizione dei loro rimedi venga considerata un atto medico, sottolineando che essa consegue a una diagnosi di malattia: il mancato riconoscimento dell'omeopatia consentirebbe ai molti terapeuti improvvisati (non medici) di continuare a emettere prescrizioni per malattie che poi non sono in grado di gestire correttamente.

Attualmente, nonostante il riconoscimento ottenuto dai prodotti omeopatici dalla direttiva CEE 75/92 e dalla Legge 185/95, la Corte Costituzionale ha negato l'autorizzazione all'utilizzo del titolo di specializzazione in omeopatia, perché non riconosciuto dal vigente ordinamento universitario.
Come è possibile valutare l'efficacia delle terapie alternative? A questo proposito qualcuno propone di distinguere quelle che fanno uso di rimedi specifici (come l'omeopatia, la floriterapia o la medicina antroposofica, che potrebbero meglio prestarsi ai metodi di una verifica sperimentale) da quelle che invece non utilizzano farmaci (come l'agopuntura, le manipolazioni vertebrali, lo yoga).

I primi riconoscimenti dell'utilità di un metodo alternativo da parte della medicina occidentale - e precisamente dagli esperti del National Institute of Health americano - sono però arrivati, nel novembre 1997, proprio per l'agopuntura, la millenaria tecnica cinese che utilizza aghi per stimolare l'energia vitale che scorre nell'organismo. E siccome alcuni esponenti della medicina ufficiale sono comunque interessati al problema generale della comprensione dei meccanismi - ancora poco chiari - attraverso i quali le altre medicine riescono a guarire determinati pazienti, l'interpretazione dei successi ottenuti con l'agopuntura poggia sull'ipotesi che gli aghi riescano a favorire il rilascio di sostanze chimiche endogene che combattono il dolore e l'infiammazione. Si è così affacciata al panorama delle medicina anche una giovane disciplina, la PNEI (acronimo di Psiconeuroendocrinoimmunologia). La PNEI si occupa di indagare proprio quegli oscuri meccanismi, quella "voglia di guarire" che si esprime attraverso la secrezione di messaggeri endocrini - come ad esempio le endorfine - o di altre sostanze che modulano l'attività del sistema immunitario.


Già dal 1992, peraltro, il National Institute of Health ha istituito un dipartimento per lo studio delle medicine alternative (OAM = Office of Alternative Medicine): l'obiettivo è quello di facilitare la valutazione di modalità alternative per il trattamento delle malattie (incluso il cancro), definendo la loro efficacia attraverso verifiche sperimentali. L'OAM, in altre parole, supporta, coordina e conduce ricerche convenzionali riguardanti metodiche terapeutiche non convenzionali che ambiscano a un riconoscimento ufficiale.
Spesso, però, le terapie alternative falliscono nel tentativo di adeguarsi alle regole del metodo scientifico: secondo la prospettiva della medicina ufficiale, infatti, le prove sperimentali devono soddisfare pienamente delle condizioni che sono difficilmente riscontrabili in un contesto relazionale di cura alternativo. E, a parte le difficoltà di tipo metodologico, manca spesso la possibilità di distinguere l'effetto del farmaco alternativo sul decorso della malattia rispetto all'andamento che la stessa malattia avrebbe assunto spontaneamente.
Tuttavia, le terapie alternative/complementari sono spesso giudicate efficaci dai malati. Da una recente indagine condotta in Gran Bretagna nei pazienti affetti da asma risulta che più del 40% degli intervistati ha dichiarato di aver tratto beneficio da vari rimedi non convenzionali quali agopuntura, erbe, omeopatia. Ma la soddisfazione che viene espressa da chi fa uso in genere di terapie alternative/complementari raggiunge anche percentuali più elevate (fino all'80% dei casi).


Il grado di efficacia percepita dal paziente deriva comunque dall'unione di effetti specifici e non specifici: il successo terapeutico dell'agopuntura può dipendere sia dalla liberazione di endorfine - ossia sostanze ad attività antidolorifica prodotte dallo stesso organismo - sia da fattori non direttamente correlati alla terapia (aspecifici), come l'empatia del terapeuta, il tempo e l'attenzione dedicati al paziente, le aspettative del malato ecc. Anche l'ambiente (temperatura, condizioni di illuminazione, stagionalità, inquinamento), la società (le condizioni familiari, di lavoro e l'organizzazione sanitaria) e la costituzione del paziente (metabolismo, genetica, struttura, età, sesso ecc.) costituiscono importanti fattori aspecifici che possono essere determinanti nella riuscita dell'intervento terapeutico. Lo stesso vale per quanto riguarda gli aspetti psicologici e cognitivi sia del medico sia del paziente: le loro esperienze, le aspettative, le caratteristiche della loro personalità e la possibilità di stabilire o meno un'alleanza d'aiuto influenzano in modo considerevole i risultati ottenuti.


Nel determinare l'effetto terapeutico globale, comunque, ciascuno dei due fattori - specifico e aspecifico - ha peraltro un valore assai variabile (dallo 0 al 100%).
L'accusa più comunemente mossa alla medicina alternativa è quella di agire solo sul livello della suggestione o di avere soprattutto un effetto di tipo placebo. Il termine latino placebo ("io piacerò") indica una sostanza inattiva dal punto di vista farmacologico, che viene impiegata per compiacere il desiderio del paziente di ricevere dal medico una cura per un determinato disturbo. Un rimedio, insomma, somministrato al malato perché tragga giovamento dall'essere assecondato.


Sono in molti a ritenere che gran parte dei trattamenti medici effettuati nei secoli scorsi possano essere considerati come placebo involontari, rimedi cioè di efficacia solo presunta. Prima dell'avvento della medicina scientifica nel XX secolo, le terapie cui venivano sottoposti i malati erano a base di purghe, salassi, incisioni, secrezioni umane e animali, e il legame tra medicina e superstizione non si era mai completamente sciolto. Alcuni osservatori ritengono del resto che ancora oggi la medicina occidentale continui a praticare la placebo-terapia senza esserne consapevole.


Recenti osservazioni gettano però un ponte tra le due rive della medicina, quella ufficiale e quella alternativa, proprio attraverso una nuova interpretazione dell'effetto placebo. Questa "bugia a fin di bene" esercita infatti un effetto di gran lunga superiore a quello della semplice suggestione, attivando i sistemi biologici endogeni dotati di effetti curativi. È stato recentemente dimostrato che la semplice aspettativa di alleviare il dolore, che si innesca in seguito alla somministrazione di una sostanza placebo, è seguita dalla liberazione di sostanze oppiacee endogene, le endorfine, che realizzano un effetto analgesico analogo a quello dei farmaci. Questo tipo di effetto placebo è ancora più marcato se il paziente ha avuto un'esperienza positiva precedente con un farmaco analgesico, ad esempio, un oppiaceo come la buprenorfina. La prova dell'attivazione del sistema degli oppiacei endogeni durante l'effetto placebo è data dal suo annullamento per mezzo di un antagonista degli oppiacei, il naloxone.

È interessante notare che l'effetto placebo non attiva solamente il sistema delle endorfine, ma stimola anche mediatori differenti, che tuttavia realizzano un effetto analgesico. Tali mediatori sono interessati quando il placebo segue un condizionamento con un farmaco antinfiammatorio. Infine è allo studio la possibilità che l'effetto placebo possa portare all'attivazione del sistema immunitario attraverso la liberazione di citochine; se le ricerche dovessero confermare questa ipotesi, diventerebbe possibile spiegare i numerosi casi di regressione spontanea di alcuni tumori maligni.