flutter atriale
tachiaritmia cardiaca sopraventricolare, caratterizzata da un'attivazione atriale molto rapida (compresa solitamente tra 250 e 350 impulsi al minuto) e regolare. L'impulso proveniente dagli atri viene bloccato a livello della regione di passaggio tra atri e ventricoli (giunzione atrioventricolare): dall'entità di questo blocco dipende la frequenza di attivazione ventricolare (solitamente corrisponde alla metà della frequenza atriale, cioè circa 150 battiti al minuto). Il flutter atriale solitamente insorge acutamente in pazienti affetti da: 1) cardiopatia con dilatazione atriale (scompenso cardiaco congestizio, valvulopatia mitralica e tricuspidale); 2) processi infiammatori a carico degli atri; 3) processi infiltrativi atriali (amiloidosi ecc.); 4) altre malattie concomitanti: pericardite, insufficienza respiratoria; 5) recenti interventi cardiochirurgici. In alcuni casi il flutter atriale non trattato perdura a lungo (mesi o anni) ma la sua evoluzione naturale (se non si interviene, cioè) è verso la fibrillazione atriale, di solito nel giro di poche settimane. All'elettrocardiogramma (ECG) compaiono onde d'aspetto costante, le onde F, che si succedono "a denti di sega". Il paziente avverte cardiopalmo in misura proporzionale alla frequenza ventricolare; possono essere inoltre presenti angina pectoris e sintomi di scompenso cardiaco. Meno comune, rispetto alla fibrillazione atriale, la complicanza tromboembolica polmonare. Il trattamento del flutter atriale deve essere tempestivo, soprattutto in caso di concomitante cardiopatia. Le opzioni terapeutiche dipendono, comunque, dalle condizioni cliniche del soggetto e vanno dalla cardioversione elettrica a basso voltaggio, all'uso di farmaci antiaritmici (betabloccanti, calcioantagonisti o digitale per rallentare la frequenza ventricolare; chinidina per cercare di ristabilire il ritmo sinusale; chinidina, flecainide, propafenone e amiodarone per prevenire le recidive), fino al posizionamento di un pace-maker atriale (procedura che può trovare indicazione nei pazienti post-cardiochirurgici e in corso di infarto miocardico).