rivulsivo o revulsivo
agg. e sm. [sec. XVII; da rivulsione]. Farmaco che, posto a contatto di un tessuto, causa in questo uno stato irritativo infiammatorio strettamente localizzato alla zona di applicazione, con conseguenze che possono variare da blande manifestazioni funzionali, facilmente reversibili, a gravi alterazioni anatomo-fisiologiche, più o meno durevoli e irreversibili. L'intensità e la durata di tali processi dipendono dalla natura e dalla concentrazione del farmaco, dalla durata di applicazione del medesimo e dalle condizioni dei tessuti su cui esso agisce; in relazione a tali fattori uno stesso rivulsivo (applicato, per esempio, sulla cute) può avere azione rubefacente, vescicolante, pustolante o necrotizzante (nel quale ultimo caso esso, più propriamente, si dirà caustico). In genere, però, vari rivulsivi per le loro caratteristiche naturali si considerano rubefacenti, altri vescicolanti, ecc. In terapia i rivulsivi sono impiegati per lo più sui tessuti cutanei o sulle mucose facilmente accessibili, per ottenere effetti locali: in particolare, per riattivare processi morbosi torpidi, o per riacutizzare processi cronici; per favorire l'assorbimento di farmaci o di eventuali essudati; per combattere il dolore proveniente da organi interni. I farmaci rivulsivi tuttora in uso sono: la canfora, la tintura di iodio, il cloralio, il cloroformio, la senape nera, l'euforbio, la coclearia, l'arnica, i semi di lino, ecc.