reimpianto
sm. [re-+impianto]. In chirurgia, riattaccamento di una parte totalmente recisa dall'organismo, per esempio di una mano troncata, di un arto. Solo i grandi progressi ottenuti in campo chirurgico alla fine del sec. XX hanno permesso di ottenere risultati di rilievo nella pratica dei reimpianti. Il problema che si presenta al chirurgo è in primo luogo quello del riallacciamento vascolare e soprattutto delle arterie che convogliano sangue, con caratteristiche nutritizie, alla periferia; secondariamente va assicurato il deflusso di ritorno del sangue, con ricostruzione delle vene; terzo elemento indispensabile è la ricostruzione dell'integrità dei tronchi nervosi: l'innervazione infatti non porta solo stimoli di movimento e terminazioni sensitive ma anche trofici, cioè di nutrimento, al fine di impedire un'atrofia dei tessuti riattaccati. Problemi secondari per la sopravvivenza della parte, ma sempre di notevole importanza per la sua validità d'uso, sono poi la ricostruzione dell'apparato di sostegno (combaciamento dei monconi ossei o delle articolazioni), quella della possibilità di movimento (sutura di muscoli e tendini) e infine quella della copertura del campo operatorio con un tessuto di protezione (sutura della cute o copertura con lembi cutanei prelevati in altre sedi dell'organismo stesso). Se ne deduce che il reimpianto ha probabilità di successo solo per lesioni nette, tipicamente da taglio, e recenti, non oltre la mezz'ora e solo raramente di più, e quanto più l'amputazione si trova lontana dall'estremità (per il maggior calibro dei vasi e la più ampia sezione dei tronchi nervosi), nonostante i grandi progressi della microchirurgia nel campo delle suture.