ròccia

Indice

Lessico

sf. (pl. -ce) [sec. XIV; forse latino volg. rupía, dal classico rupes, rupe].

1) Aggregato di minerali costituente parte integrante della crosta terrestre. In particolare: roccia madre, sono così dette sia la roccia sedimentaria in seno alla quale si è originato il petrolio sia la roccia dalla cui demolizione provengono i materiali clastici di un sedimento; roccia serbatoio, roccia permeabile, per porosità o per fessurazione, che ospita il petrolio nelle sue cavità; nel maggior numero dei casi le rocce serbatoio sono costituite da rocce sedimentarie quali arenarie, calcari, dolomie; ne esistono anche di natura ignea e metamorfica; roccia cristallina, quella costituita da aggregati di minerali cristallizzati da un magma, o ricristallizzati per metamorfismo, o formati per precipitazione chimica da soluzioni acquose.

2) Nell'uso corrente, la parte più dura della crosta terrestre: galleria scavata nella roccia viva; scarpe da roccia, adatte all'alpinismo su roccia; anche masso enorme di pietra che emerge dalla superficie: roccia aguzza, piatta; iperb.: forte come una roccia, fortissimo.

3) Popolare toscano, sudiciume incrostato, tartaro: avere la roccia addosso; la roccia dei denti.

Petrografia

La maggior parte delle rocce è formata da masse eterogenee di due o più minerali, ma esistono rocce formate da un unico minerale (accompagnato in via del tutto subordinata da minerali accessori), dette rocce omogenee o monominerali o semplici. In senso generale si chiamano rocce anche i suoli e i sedimenti sciolti qualora costituiscano un corpo geologico ben definito; tuttavia, in senso proprio, il termine roccia va riservato solo alle associazioni mineralogiche e ai sedimenti che abbiano subito processi diagenetici. Il grande numero e la grande varietà morfologica delle rocce presenti in natura hanno sempre posto complessi problemi di identificazione e di classificazione; i petrografi, nel corso del tempo, hanno proposto molte suddivisioni basate, soprattutto all'inizio, sull'origine e sull'età, e in seguito sulla costituzione chimico-mineralogica e strutturale delle rocce. Gli studiosi moderni tengono ugualmente conto di tutti questi diversi aspetti, strettamente collegati, e affrontano lo studio delle rocce dopo una prima grande suddivisione in tre gruppi principali, effettuata in base alle modalità di genesi: rocce magmatiche, rocce sedimentarie e rocce metamorfiche.

Geologia: caratteri generali delle rocce magmatiche

Dette anche rocce eruttive o rocce ignee, derivano dal consolidamento e dalla cristallizzazione di una massa fusa fluida (magma) presente o formatasi all'interno della crosta terrestre. Si chiamano intrusive le rocce magmatiche consolidatesi per lento raffreddamento in zone profonde della litosfera (plutoniti) e portate allo scoperto da movimenti tettonici e dal denudamento operato dagli agenti erosivi, effusive le rocce derivanti dal raffreddamento del magma fuoruscito in ambiente subaereo o subacqueo, generalmente sotto forma di colate laviche (vulcaniti), e infine rocce filoniane o ipoabissali le rocce che riempiono le litoclasi e le fratture di ammassi rocciosi in cui il magma fluido si è iniettato. Le rocce magmatiche costituiscono nel loro complesso il 95% della crosta terrestre.

Geologia: la classificazione di Streckeisen per le rocce magmatiche

Per le rocce magmatiche è in uso una classificazione modale (sulla base, cioè, della percentuale di volume dei singoli minerali essenziali presenti nella rocce in esame), nota anche come classificazione di Streckeisen, dal nome del geologo svizzero A. Streckeisen che per primo l'ha proposta. Questa classificazione considera solo i principali gruppi di minerali leucocrati, indicati per comodità con semplici lettere (Q=quarzo; A=feldspati alcalini – ortoclasio, microclino, albite in rocce intrusive; sanidino, anortoclasio in rocce effusive –; P=plagioclasi; F=feldspatoidi – leucite, esclusiva di rocce effusive; nefelina, sodalite, noseana, hauyna, presenti di regola in rocce effusive e rare in quelle intrusive. I minerali melanocrati non sono utilizzati perché non caratterizzano a sufficienza né per qualità né per quantità i singoli gruppi di rocce; tutti i minerali melanocrati essenziali (biotite, anfiboli, pirosseni, olivine) e gli accessori sono riuniti sotto il simbolo M, che definisce l'indice di colore di una roccia: più numerosi sono i minerali mafici, più l'indice M è alto e più la roccia è scura. In base all'indice di colore le rocce sono definite leucocrate (M<30%), mesocrate (M dal 30 al 60%), melanocrate (M>60%). Le rocce costituite quasi interamente da componenti mafici (rocce ultramafiche) vengono classificate secondo specifici parametri. La classificazione di Streckeisen può essere espressa graficamente mediante due triangoli equilateri uniti da una base comune e aventi per vertici Q, A, P e F. Q e F sono contrapposti, a sottolineare l'incompatibilità tra quarzo e feldspatoidi (rocce che contengono quarzo non possono contenere feldspatoidi e viceversa). I singoli settori (campi) sono delimitati da linee orizzontali e da linee convergenti su Q e F. Nel triangolo superiore le linee orizzontali delimitano fasce a uguale contenuto in quarzo; rocce con lo 0-5% di Q sono definite rocce sature (con raro quarzo libero); le rocce con il 5-20% di Q sono mediamente soprassature e per meglio identificarle si ricorre al prefisso quarzo- (per esempio quarzosienite, quarzodiorite); rocce con il 20-60% di Q costituiscono le rocce soprassature, ossia con abbondante quarzo libero; le rocce con oltre il 60% di Q sono molto rare tra le rocce ignee. Analogamente, nel triangolo inferiore le linee orizzontali evidenziano fasce a identico contenuto in feldspatoidi e la sottosaturazione rispetto al grado di saturazione in silice: rocce con 0-10% di F sono debolmente sottosature; rocce con il 10-60% di F sono sottosature e rocce con F>60% sono nettamente sottosature. Le linee convergenti sono linee a uguale rapporto fra feldspati alcalini e plagioclasi, espresso come [A/(A+P)]×100; i valori considerati di tali rapporti sono 90, 65, 50, 35 e 10. Le rocce classificate nel doppio triangolo hanno M compreso tra 0 e 90% (in media tra 0 e 60%); le rocce ultramafiche sono confinate in un apposito settore con M compreso tra 90 e il 100%. Le rocce ultramafiche sono costituite per la quasi totalità da minerali ferromagnesiaci rappresentati da olivina, pirosseni, rombici o monoclini, orneblenda, biotite, granati, spinelli, minerali opachi, flogopite. Quelle costituite da olivina (ol), pirosseno rombico (ortopirosseno, opx) e pirosseno monoclino (clinopirosseno, cpx) sono classificate in un diagramma triangolare i cui vertici sono appunto ol, opx e cpx, mentre quelle contenenti anche orneblenda (hbl) sono classificate in un altro diagramma triangolare, i cui vertici sono ol, px (pirosseni rombici e monoclini) e hbl..

Geologia: il chimismo delle rocce magmatiche

La classificazione mineralogica è insufficiente per le rocce effusive a causa della loro struttura; in questo caso è più utile e precisa una classificazione basata sul chimismo. Per le rocce di composizione basaltica il chimismo è fondamentale, perché esistono chiare relazioni tra tipo di basalto e ambiente geodinamico di formazione. Il chimismo di una roccia si esprime con il rapporto quantitativo tra alcuni costituenti chimici fondamentali, che sono il biossido di silicio (SiO₂), gli ossidi di ferro (Fe₂O₃ e FeO), l'ossido di magnesio (MgO), gli ossidi di bario e di calcio (BaO e CaO), gli ossidi di potassio e di sodio (K₂O e Na₂O). In quantità minore, e a volte in sostituzione dei precedenti, possono trovarsi altri ossidi tra cui TiO₂, P₂O5, ZrO₂, Cr₂O₃, MnO; in percentuali variabili e molto basse vi sono poi alcuni componenti volatili (H₂O, OH, CO₂, Cl, ecc.) la cui importanza, secondaria nella roccia già formata, è tuttavia fondamentale per l'azione mineralizzatrice svolta durante le diverse fasi di cristallizzazione del magma. I rapporti quantitativi tra tutti questi componenti non sono mai arbitrari, ma variano entro ben determinati limiti in funzione delle diverse composizioni ed equilibri chimici esistenti nei magmi. Si ha così una serie continua di tipi rocciosi (sia intrusivi sia effusivi e filoniani) caratterizzati da precisi rapporti di coesistenza e di abbondanza dei vari componenti chimici e mineralogici. Soprattutto importante per definire il tipo chimico di una roccia magmatica è la quantità di silice in essa presente: si distinguono rocce persiliciche o felsiche, aventi un contenuto in silice oltre il 65%; rocce mesosiliciche o intermedie, con silice tra il 65 e il 52%; rocce iposiliciche o mafiche con silice tra il 52 e il 45%; rocce ultramafiche, con silice inferiore al 45%. In relazione alla percentuale di silice, cui è attribuita funzione acida, le rocce eruttive si distinguono anche in acide, neutre e basiche. L'eccesso in silice delle prime si trova cristallizzato in forma di quarzo, feldspati alcalini e miche; la quantità di silice delle seconde è appena sufficiente a saturare gli ossidi metallici; nelle ultime invece prevalgono gli spinelli e i silicati poveri in silice come i pirosseni e le olivine. Ne consegue un'ulteriore denominazione delle rocce eruttive in sialiche (silico-alluminifere) e in femiche (ferro-magnesiache), con i termini estremi chiamati rispettivamente ultrasialiche e ultrafemiche. Le variazioni quantitative degli altri componenti sono in rapporto con la percentuale in silice; in particolare, considerando il rapporto tra CaO e alcali in funzione della silice, si definiscono tre grandi serie rocciose: la serie normale alcali-calcica, comprendente i tipi di roccia più comuni (graniti, porfidi quarziferi, basalti, diabasi), caratterizzata da percentuale di silice tra 56 e 61 e con contenuto in CaO pari alla somma degli alcali (Na₂O+K₂O); la serie calcica, con SiO₂ maggiore del 61% e quantità di CaO corrispondente agli alcali; la serie alcalina, con contenuto in silice inferiore al 51%, suddivisibile in una serie atlantica nella quale Na₂O prevale su K₂O, largamente rappresentata dalle masse intrusive granitiche e sienitiche delle regioni scandinave, e in una serie mediterranea, nella quale prevale la componente potassica, e ben rappresentata dalle rocce effusive del Lazio, della zona del Vesuvio e dei Campi Flegrei. In corrispondenza delle diverse serie si definiscono le cosiddette province petrografiche, cioè delle ampie zone della litosfera nelle quali le masse intrusive ed effusive presenti appaiono tra loro geneticamente collegate. Le province petrografiche esattamente definite sono tre: la provincia pacifica (corrispondente alla serie normale alcali-calcica, detta perciò anche serie pacifica), la provincia atlantica e la provincia mediterranea; esistono poi province miste caratterizzate da rocce appartenenti a serie diverse.

Geologia: componenti essenziali e accessori delle rocce magmatiche

I minerali costituenti le rocce eruttive vengono raggruppati in varie categorie in funzione della loro abbondanza e frequenza. Componenti essenziali sono i minerali che per la loro abbondanza determinano il carattere mineralogico della roccia: si distinguono un gruppo sialico, comprendente i minerali incolori o chiari, come il quarzo, i feldspati, le miche muscovitiche, alcuni feldspatoidi e un gruppo femico, costituito da minerali colorati o scuri come le biotiti, i pirosseni e gli anfiboli, le olivine e gli spinelli; componenti accessori normali sono i minerali normalmente presenti nelle rocce, ma sempre in percentuali nettamente inferiori rispetto a quelle relative ai componenti essenziali: tra i più frequenti vi sono ossidi di ferro e spinelli, titanite e ilmenite, pirite, apatiti; componenti accessori locali sono minerali non sempre presenti, ma talvolta localmente concentrati in zone di una massa rocciosa al punto da risultare economicamente interessanti: tipici accessori locali sono alcuni minerali preziosi di origine pneumatolisica quali il topazio, lo zircone, il berillo e i granati; componenti accessori secondari sono in genere prodotti di alterazione e trasformazione di componenti essenziali e possono a volte costituire concentrazioni utili (specie in rocce metamorfosate): i più comuni sono il talco, le cloriti, il serpentino, le zeoliti. Secondo Clarke, la composizione percentuale media (in peso) dei minerali delle rocce eruttive sarebbe la seguente: feldspati 59,5%, anfiboli e pirosseni 16,8%, quarzo 12%, miche 3,8%, titanite e ilmenite 1,5%, apatite 0,6%, altri minerali (olivine, feldspatoidi, spinelli e ossidi di ferro, epidoti, tormaline, cloriti, granati, ecc.) 5,8%. La presenza e la coesistenza di questi minerali nelle rocce dipendono dagli equilibri chimici dei magmi d'origine e rispettano determinate regole, come è stato dimostrato dall'esame sistematico quantitativo eseguito su sezioni sottili dei diversi tipi rocciosi. Il quarzo è tipico di rocce persiliciche (graniti, porfidi, lipariti) e di alcune mesosiliciche (granodioriti, tonaliti, dioriti) e si trova associato a feldspati alcalini e a plagioclasi; non è mai accompagnato da feldspatoidi. L'ortoclasio si trova insieme a plagioclasi molto sodici in rocce persiliciche e in alcune mesosiliciche alcaline (sieniti, trachiti, trachiandesiti), a volte insieme con feldspatoidi. I plagioclasi sono presenti in varie rocce dalle persiliciche alle iposiliciche con termini man mano sempre più ricchi in calcio. I feldspatoidi sono tipici componenti di rocce iposiliciche della serie mediterranea (sieniti nefeliniche, leucititi). Tra le miche, la muscovite è presente nelle rocce persiliciche, la biotite invece si trova pure nelle mesosiliciche con anfiboli e pirosseni. Di questi due gruppi, gli anfiboli sono componenti essenziali di rocce mesosiliciche mentre i pirosseni, spesso insieme con olivine, sono presenti in rocce meso- e iposiliciche, femiche e ultrafemiche come i gabbri, i basalti olivinici e le peridotiti. Da notare che le biotiti e le orneblende (anfiboli) sono molto instabili nelle forme effusive, nelle quali vengono riassorbite e sostituite da spinelli e pirosseni. Nelle rocce effusive, specie in quelle persiliciche, sono poi spesso presenti sostanze allo stato vetroso, che diventano prevalenti in alcune lave (ossidiane, pomici trachitiche, ecc.). Anche per quanto riguarda l'ordine di formazione dei minerali di una roccia sono riscontrabili, pur nelle diversità di situazioni e fasi di consolidazione magmatica, delle precise successioni (paragenesi). In una massa intrusiva per- o mesosilicica, per esempio, si formano dapprima i componenti accessori (zircone, apatiti, titanite, ecc.), che poi si trovano in piccoli cristalli o inclusi in altri minerali; si separano quindi i componenti femici che assumono forme cristalline ben evidenti e infine i componenti del gruppo sialico, che devono adattare la loro forma a quella dei cristalli già formatisi. Al contrario, in una massa effusiva basica, la successione è invertita e sono i plagioclasi e i feldspati ad avere sviluppo idiomorfo, mentre i minerali femici devono adattarsi agli spazi lasciati dai primi cristalli.

Geologia: struttura delle rocce magmatiche

La struttura delle rocce eruttive, ossia la forma, le dimensioni, i raggruppamenti e le reciproche relazioni dei diversi componenti mineralogici, è nettamente diversa in rapporto alla giacitura e alle condizioni fisico-chimiche di consolidamento del magma. Nel consolidamento intrusivo, la temperatura e la pressione elevate, la tranquillità dell'ambiente, il lento raffreddamento hanno permesso che la cristallizzazione avvenisse in modo completo e le rocce intrusive risultanti mostrano infatti una struttura granulare olocristallina, più o meno grossolana, in cui manca completamente la componente vetrosa e vacuolare. Nell'ambiente effusivo, invece, la brusca caduta di temperatura e di pressione, il movimento della massa fluida, la rapida e talvolta esplosiva perdita degli agenti volatili mineralizzatori non consentono la completa cristallizzazione e pertanto le rocce effusive risultanti sono caratterizzate da struttura microcristallina, porfirica, con abbondanti quantità di materiale vetroso. Struttura intermedia tra le due precedenti è quella delle rocce ipoabissali che possono di volta in volta assomigliare a rocce sia effusive sia intrusive. Tipica dei filoni pegmatitici è la presenza di individui cristallini di ragguardevoli dimensioni, anche di parecchi metri nei casi estremi. § Una massa rocciosa di origine magmatica appare quasi sempre, da un punto di vista mineralogico e chimico, scarsamente omogenea. Si osservano zone più scure o più chiare, chiazze, lenti, filoni, indizi tutti di fenomeni di segregazione e concentrazione di minerali. Le differenziazioni in senso basico vengono dette concentrazioni femiche o melanocratiche (in relazione al colore scuro dei minerali), quelle in senso acido differenziazioni aplitiche o leucocratiche (in relazione al colore chiaro dei minerali). È possibile osservare alternanze sialiche e femiche entro un medesimo corpo roccioso, tuttavia in genere la differenziazione procede regolarmente dal centro alla periferia della massa. Anche le rocce ipoabissali mancano spesso di omogeneità. Infatti, accanto a filoni non differenziati, si osservano filoni differenziati in senso femico, detti lamprofiri, e altri in senso acido, come le apliti e i filoni pegmatitici. La spiegazione di questa eterogeneità deve essere ricercata nei vari fenomeni che si sviluppano contemporaneamente alle diverse fasi di consolidamento del magma, vale a dire in tutti quei processi di cristallizzazione frazionata, di separazione gravitativa e di assimilazione magmatica che accompagnano la formazione delle rocce.

Geologia: caratteri generali delle rocce sedimentarie

Sono rocce che si formano sulla superficie terrestre per processi di compattazione e cementazione di sedimenti di origine detritica, chimica e organica. Le rocce sedimentarie sono molto diffuse, costituendo il 75% delle rocce affioranti in superficie sulle terre emerse. Nella loro formazione sono individuabili quattro principali processi: degradazione chimica e meccanica, trasporto dei sedimenti, sedimentazione, diagenesi; questi processi sono inoltre responsabili delle caratteristiche mineralogiche della roccia.

Geologia: degradazione chimica e meccanica delle rocce sedimentarie

La degradazione delle rocce viene operata per mezzo di due azioni che possono intervenire congiuntamente o separatamente l'una dall'altra: la decomposizione chimica e la disintegrazione o degradazione meccanica. Con la prima, la roccia viene attaccata da agenti chimici presenti nell'atmosfera e nel suolo, in particolare dall'acqua, dall'anidride carbonica, dall'ossigeno (alterazione delle rocce). Nella degradazione meccanica agiscono diversi fattori che nel loro insieme provocano la frantumazione della roccia in elementi più o meno grossolani. Particolarmente intensi sono gli effetti prodotti dalle escursioni termiche, dalla formazione del ghiaccio entro fratture e dall'erosione delle correnti fluviali, delle onde marine, dei granuli trasportati dal vento, dei ghiacciai.Il prevalere dell'azione chimica o di quella meccanica dipende molto da fattori climatici: la decomposizione chimica è molto più attiva nelle regioni caldo-umide, mentre l'azione meccanica diventa prevalente nelle regioni aride, fredde e ad altitudini elevate. Nei Paesi temperati si formano prevalentemente rocce argillose ricche di silicati idrati d'alluminio (allofane, caolinite, montmorillonite), nei Paesi caldo-umidi si trovano in prevalenza lateriti, ricche in idrargillite e in idrossidi ferrici. Nelle regioni a tavolati calcarei si formano residui argilloso-sabbiosi, talvolta con concentrazioni di idrati di ferro (terre rosse) e di idrossido d'alluminio (bauxite). Il prevalere dell'azione meccanica dà luogo a sedimenti scarsamente alterati; la disintegrazione di un granito, per esempio, riduce la roccia in detriti sempre più piccoli che formano alla fine una sabbia grossolana, mista a frammenti rocciosi più grandi; la cementazione di questa sabbia dà origine a rocce del tipo arcose.

Geologia: trasporto dei sedimenti e sedimentazione delle rocce sedimentarie

Il materiale, solubile e insolubile, derivato dal disfacimento delle rocce può rimanere in loco o, più frequentemente, essere trasportato e depositato lontano dal luogo della sua formazione. I principali agenti di trasporto sono i fiumi, le acque marine, il vento e i ghiacciai. I fiumi trasportano il materiale in soluzione, in sospensione e per trascinamento sul fondo e lo depositano sulla terraferma e in mare. Qui l'azione delle onde e delle correnti può ritrasportare e ridepositare i sedimenti in luoghi diversi. Il vento agisce con intensità soprattutto nelle regioni desertiche trasportando sedimenti fini come sabbie e limi. I ghiacciai trasportano sul fondo e sulla loro superficie il materiale incoerente (morene) che hanno eroso nel loro movimento. Da ricordare, infine, l'azione di trasporto puramente o prevalentemente gravitativa sia in terra ferma (rotolamento di massi e ciottoli, frane) sia in mare (franamenti sottomarini, correnti di torbidità). L'azione di trasporto produce, oltre all'ulteriore frantumazione del materiale e all'arrotondamento delle superfici spigolose dei ciottoli e dei granuli, una caratteristica selezione del sedimento in rapporto alle dimensioni e al peso dei clastici. L'effetto è tanto più grande quanto maggiore è la mobilità dell'agente di trasporto: le particelle più grandi e pesanti vengono depositate per prime, mentre le frazioni più fini sono trasportate a maggiore distanza. Così, durante il trasporto fluviale di un sedimento costituito da un ammasso caotico di ghiaie, sabbie e argille, si opererà una netta selezione e si avrà prima il deposito delle ghiaie, poi della sabbia e quindi delle argille. Tale selezione si può osservare anche in senso verticale nella decantazione del sedimento tenuto in sospensione nel fluido di trasporto; il materiale più grossolano raggiungerà il fondo per primo e su di esso si depositeranno via via le frazioni più fini. La fase immediatamente successiva al trasporto è la sedimentazione che può essere essenzialmente di tre tipi: meccanica, chimica, organogena. La sedimentazione meccanica dà origine a depositi clastici o detritici distinguibili in depositi eolici, come le dune dei deserti e dei litorali, e i depositi tipo loess; depositi fluviali, costituiti da ciottoli, sabbie, limi, argille, spesso alternati arealmente e verticalmente; depositi marini, costituiti dal materiale eroso dal moto ondoso e dai sedimenti fini portati dai fiumi e sedimentati più o meno lontano dalla costa in rapporto alla loro granulometria; depositi lacustri, prevalentemente costituiti da limi e argille con livelli torbosi; depositi glaciali, costituiti da materiale morenico eterometrico ed eterogeneo, spesso fortemente alterato; depositi piroclastici, formati dalla sedimentazione di materiali vulcanici (ceneri, lapilli, frammenti lavici) lanciati in aria durante le eruzioni, trasportati dal vento e depositati in ambiente subaereo o subacqueo. La sedimentazione chimica è dovuta alla precipitazione degli ioni presenti in soluzione nelle acque, soprattutto Ca2+, CO₃2-, Mg2+, Na+, Cl- e SO42-. I depositi chimici si possono formare per evaporazione parziale del solvente, come nel caso delle evaporiti, giacimenti saliferi di origine marina, e delle incrostazioni silicee che si trovano presso i geyser, o per perdita di quei componenti volatili che aumentano la solubilità dei sali. Da questo fenomeno dipendono molti sedimenti calcarei che si formano per rideposizione del carbonato di calcio contenuto nell'acqua come bicarbonato; esempi tipici sono dati dalle stalattiti e stalagmiti delle grotte e dalle concrezioni che danno origine agli alabastri calcarei e ai travertini. Nel mare, il carbonato di calcio si trova in quantità troppo piccola per precipitare in seguito a evaporazione; possono formarsi però depositi entro bacini poco profondi e caldi per precipitazione del carbonato proveniente dalla decomposizione di organismi. Anche altri depositi marini come le melme o sabbie verdi, ricche di granuli di glauconite, sembrano dovuti a sedimentazione chimica. La sedimentazione organogena dipende dal lento accumulo di resti di organismi fissatori di sali minerali. Il carbonato di calcio si fissa, come aragonite, nei gusci e nelle conchiglie dei molluschi e dei brachiopodi, forma le impalcature e gli scheletri di Briozoi, di Madreporari, di Spugne e di Calcaree. Tutti questi resti, sedimentando, producono nel corso delle ere geologiche depositi molto potenti come scogliere coralline, barriere madreporiche, atolli. Talvolta rimangono inglobati resti fossili ben conservati (calcari nummulitici, lumachelle, ecc.), ma più spesso il materiale accumulato viene compresso, frantumato e ridepositato e si formano banchi calcarei stratificati, a volte con alternanze di materiale detritico terrigeno (calcari arenacei, marnosi, argillosi, ecc.). Pure in ambiente di scogliera si sono formati i depositi dolomitici, in cui si realizza un progressivo arricchimento di carbonato di magnesio in sostituzione del carbonato di calcio. Altri depositi organogeni marini sono le melme a radiolari e a diatomee, dovute all'accumulo dei resti di organismi a scheletro siliceo. Queste ultime rocce sedimentarie vengono anche dette, in base alla loro origine, organogene.

Geologia: diagenesi delle rocce sedimentarie

Ai diversi tipi di sedimentazione segue la diagenesi, cioè l'insieme dei processi di compattazione, cementazione e parziale ricristallizzazione, che trasforma il sedimento in roccia. Per diagenesi le sabbie diventano arenarie, il ciottolame e le ghiaie conglomerati; per le argille è spesso difficile stabilire un limite tra diagenesi e metamorfismo di basso grado, motivo per cui rocce argillose si confondono con gli argilloscisti. Nei sedimenti calcarei, i granuli più piccoli tendono, per aumento della pressione, a sciogliersi e quelli più grandi ad aumentare ulteriormente di volume; tra granulo e granulo il carbonato di calcio si ricristallizza e cementa il sedimento che si trasforma così in calcare; la cementazione può però anche essere prodotta da soluzioni che penetrano e si depositano tra i granuli. In alcuni casi la diagenesi è accompagnata da fenomeni metasomatici. Le dolomie, per esempio, derivano da calcari dolomitici in cui per metasomatismo si è realizzato un doppio scambio tra il carbonato di calcio e il magnesio presente nella soluzione marina. Processi diagenetici vanno infine considerati tutti i diversi fenomeni di fossilizzazione.

Geologia: i minerali costituenti delle rocce sedimentarie

Vengono distinti in due gruppi: componenti clastici o detritici, separatisi per via meccanica e chimica dalle rocce preesistenti, e componenti autigeni dovuti a precipitazione chimica di ioni e colloidi provenienti dalla decomposizione di altri minerali. I minerali detritici principali sono il quarzo, che costituisce la maggior parte della frazione detritica, la mica muscovite, resistente all'alterazione al contrario della biotite, che si altera dando cloriti e sostanze limonitiche, i granati, lo zircone, le tormaline, il rutilo e i minerali pesanti in genere, che resistono inalterati per più cicli erosivi; scarsi sono i feldspati e i feldspatoidi che, quando sono presenti, sono indice di sedimentazione recente. Tra i componenti autigeni, i più comuni sono i minerali argillosi e micacei, gli idrossidi d'alluminio e di ferro. Per precipitazione si formano anche carbonati (calcite, aragonite, dolomite, ankerite, siderite), quarzo e feldspati; esistono, come per i componenti delle rocce eruttive, fenomeni di paragenesi: per esempio la formazione di feldspati provoca la diminuzione delle miche e del quarzo, e viceversa. La distinzione tra i minerali dei due gruppi si compie in base alla forma cristallina che è sempre ben evidente nei minerali clastici, mentre i minerali autigeni, che si sviluppano in genere riempiendo gli spazi rimasti liberi, hanno contorni irregolari e abiti cristallini deformati. La composizione mineralogica quantitativa media è, secondo Correns, la seguente: quarzo 30%, caolinite e halloysite 12%, muscovite 11%, feldspati 9%, biotite e glauconite 8%, calcite 6%, montmorillonite 5,5%, paragonite 4%, dolomite 2,5%, clorite 2%, ossidi di ferro 5,5%, altri 4,5%. La dimensione dei granuli delle rocce clastiche è molto varia ed è in relazione al tipo di degradazione da cui deriva il sedimento: la decomposizione chimica produce materiale finissimo, la disintegrazione meccanica materiale più grossolano; il trasporto provoca infine una continua riduzione dei granuli. In ogni sedimento detritico sono comunque presenti diverse frazioni che possono essere evidenziate e distinte mediante l'analisi granulometrica; questa permette di stabilire per ogni tipo di deposito il grado di selezione o di classificazione del sedimento. La forma dei clastici dipende dalla forma dei minerali originari e, secondariamente, dal tipo di trasporto subito. Il quarzo dà sempre dei frammenti spigolosi, i feldspati granuli delimitati da superfici di sfaldatura, le miche laminette sottili con margini irregolari, altri minerali, come lo zircone e le apatiti, conservano il loro abito cristallino. Per ogni granulo si può determinare il suo grado di sfericità, indice che esprime il rapporto tra il diametro di una sfera con lo stesso volume del granulo e la sfera con diametro pari a quello massimo del granulo. Secondo questo parametro, i clastici vengono classificati in sferoidali o equidimensionali, discoidali e prismatici. L'arrotondamento dei clastici è invece un indice che, indipendentemente dalla forma e dalle dimensioni, definisce il grado di angolosità dei frammenti e, in pratica, definisce l'intensità dell'abrasione subita e la suscettibilità dei minerali all'abrasione stessa. Infine è interessante stabilire il grado di maturità del sedimento. Un sedimento è tanto più maturo quanto più è ricco di elementi non alterabili, in pratica quanto maggiore è la percentuale di granuli quarzosi e silicei. La maturità definisce quindi l'intensità dei processi di degradazione e di alterazione del sedimento e permette di riconoscere se ha subito più fasi di trasporto e di sedimentazione.

Geologia: struttura e tessitura delle rocce sedimentarie

Per le rocce sedimentarie il termine struttura si riferisce alle caratteristiche esterne osservabili nella roccia affiorante; la tessitura indica invece la forma e il modo di aggregarsi delle particelle e corrisponde pertanto alla “struttura” delle rocce eruttive. La struttura di maggior rilievo è la stratificazione, cioè la successione entro la roccia di livelli, strati, banchi di diverso spessore, dovuta a cause varie tra cui variazioni della velocità di sedimentazione, interruzioni della sedimentazione, erosione dello strato deposto e successiva ripresa della sedimentazione, variazioni quantitative e qualitative del materiale depositato. All'interno degli strati si osservano poi altre strutture tra cui, molto comuni soprattutto nelle rocce arenacee, sono la stratificazione incrociata, formata da laminazioni variamente inclinate, e la stratificazione gradata, dovuta alla graduale variazione delle dimensioni dei granuli osservata verticalmente nello strato. Tra le numerose tessiture, caratteristiche sono quelle granulari o cristalloblastiche delle rocce non clastiche come i gessi, il salgemma e alcune dolomie, e le oolitiche e pisolitiche tipiche di alcuni calcari. Caratteristica delle rocce detritiche è invece la tessitura clastica, data dall'aggregarsi disordinato dei vari frammenti; talvolta in questa tessitura è distinguibile una frazione fine e uniforme (matrice) da una più grossolana e caotica.

Geologia: classificazione delle rocce sedimentarie

Le suddivisioni delle rocce sedimentarie presentano obiettive difficoltà perché i sedimenti sono sistemi in completo squilibrio chimico e ogni sedimento passa con continuità da un tipo all'altro. Stabilire un limite tra sedimenti e rocce affini è spesso del tutto arbitrario e la difficoltà cresce considerando che di frequente la roccia sedimentaria non è distinguibile dalla corrispondente metamorfica. Quasi tutte le classificazioni si basano, oltre che sulle caratteristiche mineralogiche, sull'origine dei sedimenti. In base a quest'ultimo criterio le rocce sono distinte in due grandi gruppi: rocce sedimentarie clastiche o detritiche; rocce sedimentarie di precipitazione chimica e organica. Ogni gruppo viene poi ulteriormente suddiviso in base a diversi criteri. Nella classificazione riportata in tabella , i due principali gruppi sono distinti considerando la forma e le dimensioni dei granuli, la composizione chimica e il grado di cementazione della roccia.

Geologia: caratteri generali delle rocce metamorfiche

Sono associazioni mineralogiche che hanno subito mutamenti strutturali e chimici in seguito a variazioni dell'ambiente fisico-chimico originario. Le rocce metamorfiche sono di origine secondaria e possono derivare sia da rocce eruttive sia da rocce sedimentarie. Si ha di conseguenza una prima suddivisione secondo il materiale di partenza: ortoscisti, derivati da rocce eruttive, parascisti, derivati da sedimenti e rocce sedimentarie, metascisti, derivati da parascisti che hanno subito iniezioni magmatiche. Tale distinzione non è sempre di facile attuazione in quanto materiali originariamente identici possono dare, per diversi tipi di metamorfismo, rocce molto diverse, e al contrario, materiali rocciosi completamente diversi danno origine a rocce metamorfiche identiche. Tuttavia, per mezzo delle composizioni centesimali effettuate con l'analisi chimica, è possibile decidere, nella maggior parte dei casi, se la roccia metamorfica proviene da rocce ignee o sedimentarie: infatti la maggiore percentuale di silice insolubile, l'eccesso di allumina rispetto alle basi alcaline e alcalino-terrose e, in genere, la prevalenza di un ossido o di un gruppo di ossidi indicano l'origine sedimentaria del materiale. La maggior parte degli autori preferisce però dividere le rocce metamorfiche in rapporto al tipo di metamorfismo che le ha originate: si riconoscono così rocce metamorfiche di autometamorfismo, rocce metamorfiche di contatto, rocce metamorfiche di metamorfismo generale.

Geologia: autometamorfismo nelle rocce metamorfiche

Rientrano nella categoria delle rocce di autometamorfismo quelle rocce ignee i cui componenti hanno subito, ancora durante il raffreddamento della massa eruttiva, processi di alterazione. Alcuni minerali già segregatisi dal magma possono infatti subire tutta una serie di modificazioni per cause varie: polimorfismo, processi di diffusione, reazioni al contatto tra granuli cristallini diversi, azione tra sostanze volatili e soluzioni residue e frazione già consolidata. Sono di questo tipo fenomeni come la cloritizzazione delle biotiti, la serpentinizzazione delle olivine, la saussuritizzazione dei feldspati e la formazione delle zeoliti, di epidoti e calcite.

Geologia: metamorfismo di contatto nelle rocce metamorfiche

È dovuto all'azione termica e chimica esercitata da una massa eruttiva in via di solidificazione sulle rocce incassanti. Nel metamorfismo prevalentemente termico l'effetto principale, tanto più intenso quanto più vicino è il magma, consiste in una netta cristallizzazione o ricristallizzazione delle rocce incassanti: si riducono o scompaiono le sostanze argillose e colloidali; le eventuali masse vetrose e tufacee si trasformano in fasi cristalline stabili; le sostanze carboniose si concentrano dando gli scisti macchiettati; i calcari fini e compatti si trasformano in calcari saccaroidi, chiamati marmi cristallini. Si possono inoltre verificare reazioni chimiche con produzione di nuovi cristalli come corindone, rutilo, staurolite, andalusite, diopside. Nel metamorfismo di contatto con apporto di nuove sostanze (SiO₂, H₂O, CO₂, Al, Mg, K, Na, F, Cl, B) si verificano trasformazioni di natura pneumatolitica e idrotermale che provocano modificazioni più profonde con cristallizzazioni di minerali dipendenti dalla composizione del magma e dal suo contenuto in vapori e dal tipo di roccia incassante. Nei calcari e nei calcari dolomitici, per esempio, si nota la formazione di granati calciferi, di pirosseni tipo diopside, di anfiboli tipo tremolite; nei calcari argillosi si formano invece granati alluminiferi, plagioclasi, spinelli; in rocce diverse possono poi trovarsi minerali pneumatolitici caratteristici come topazio, tormaline, fluorite. Tipiche rocce risultanti da questi processi sono i calcefiri a wollastonite, a vesuviana, le cornubianiti pirosseniche, granatifere, gli scisti tormaliniferi, granatiferi. Oltre che nelle rocce incassanti, tali fenomeni si possono produrre nella stessa massa eruttiva; si parla in questo caso di endometamorfismo in contrapposizione alle azioni di contatto esterne (esometamorfismo). Si possono così osservare nella massa eruttiva arricchimenti di minerali e composti chimici: per esempio in vicinanza di rocce calcaree si formano componenti mineralogici tipo zoisite, fassaite, titanite, epidoti, mancanti invece nella massa eruttiva normale. Gli effetti di digestione magmatica dell'endometamorfismo, poco intensi in zone superficiali, diventano di notevole entità in zone profonde della crosta terrestre dove esistono grandi concentrazioni magmatiche. A questa genesi risale la formazione delle migmatiti, mentre caratteristiche manifestazioni di endometamorfismo superficiale sono osservabili nei proietti vulcanici, blocchi di lava metamorfosata nel condotto vulcanico ricchi di minerali di contatto come vesuviana, granati e pirosseni.

Geologia: metamorfismo generale nelle rocce metamorfiche

Detto anche metamorfismo regionale e cinetico, o di dislocazione, è dovuto principalmente all'aumento di temperatura e di pressione idrostatica e orientata in funzione alla crescente profondità dell'ambiente metamorfico (epizona, mesozona, catazona) e alle spinte tettoniche. Le rocce metamorfiche che derivano dai diversi processi di trasformazione, talvolta in più cicli successivi (effetti polimetamorfici), sono chiamate scisti cristallini, in riferimento alle loro caratteristiche principali: spiccata cristallinità e scistosità, cioè disposizione (tessitura) orientata di alcuni componenti, motivo per cui la roccia può essere facilmente divisa in lastre e piani paralleli. Si differenziano abbastanza nettamente dalle rocce di contatto, in quanto non hanno relazioni genetiche con le masse intrusive ma, in genere, sono il risultato della trasformazione di ingenti depositi sedimentari metamorfosati per centinaia o migliaia di metri di spessore e per estensioni molto vaste. Come per le rocce sedimentarie, si possono osservare potenti serie metamorfiche stratificate nelle quali la roccia mostra struttura granoblastica o lepidoblastica con elementi che denunciano fenomeni cataclastici e con minerali di neoformazione perfettamente orientati. La composizione chimica degli scisti cristallini è assai vicina a quella delle rocce originarie, poiché i fenomeni di mobilizzazione, di metasomatosi e di iniezione magmatica sono nel complesso di lieve entità.

Geologia: composizione mineralogica delle rocce metamorfiche

La composizione mineralogica degli scisti cristallini è molto varia poiché dipende dalla composizione del materiale di partenza, dall'ambiente genetico e dalle diverse reazioni chimiche intervenute. Alcuni minerali, come quarzo, granati, calcite, magnetite e titanite, si trovano indifferentemente, come componenti primari o secondari, nelle diverse zone di metamorfismo; altri invece sono caratteristici delle diverse zone: nell'epizona, dove prevalgono le azioni dinamiche e la termalità è bassa, i minerali tipici sono la sericite, il talco, le cloriti, il serpentino e le zoisiti; nella catazona, caratterizzata da temperatura e pressione molto elevate, prevalgono sillimanite, andalusite, ilmenite, wollastonite, pirosseni e olivine; nella mesozona, di caratteristiche fisico-chimiche intermedie, si trovano di preferenza anfiboli, cianite e miche biotitiche e muscovitiche. Così, per esempio, da sostanza argillosa si ottiene per ricristallizzazione in epizona un fine aggregato di sericite, in mesozona cianite e in catazona sillimanite. Alle diverse zone di metamorfismo corrispondono quindi diversi tipi di scisti e tale suddivisione è alla base della classificazione delle rocce metamorfiche del Grubenmann. Altri autori preferiscono sostituire al concetto di zona metamorfica quello di zona mineralogica, definita dalla presenza o prevalenza di determinati minerali: in questo caso si distinguono scisti caratteristici di zona della biotite, di zona della clorite, di zona della cianite, di zona della sillimanite. Altra importante classificazione è quella che si basa sulla facies metamorfica, definita come facies che include tutte le rocce che abbiano raggiunto l'equilibrio chimico-mineralogico nelle medesime condizioni di ambiente fisico-chimico; ogni roccia metamorfica inclusa in una determinata facies deve pertanto contenere l'associazione mineralogica tipica di quella facies. Le principali facies metamorfiche sono: facies di cornubianiti a pirosseno, questo gruppo è costituito da cornubianiti (rocce di contatto) caratterizzate da associazioni di pirosseni rombici (tipo iperstene) e monoclini (tipo diopside); facies degli scisti verdi, include rocce di metamorfismo regionale caratterizzate dall'associazione muscovite-clorite-quarzo e albite-epidoto-quarzo (si possono distinguere tre subfacies, prodotte da metamorfismo crescente: subfacies quarzo-albite-muscovite-clorite; subfacies quarzo-albite-epidoto-biotite; subfacies quarzo-albite-epidoto-almandino); facies delle anfiboliti ad almandino, caratterizzata dall'associazione oligoclasio-andesina e orneblenda con altri minerali critici (che distinguono tre subfacies di grado crescente: subfacies staurolite-almandino; subfacies cianite-almandino; subfacies sillimanite-almandino-ortoclasio); facies a granuliti, comprende rocce di catazona con associazioni sillimanite-granato oppure iperstene-diopside (si possono distinguere anche subfacies dove i pirosseni sono costituiti da orneblenda); facies a eclogiti, è definita dall'associazione omfacite-granato con la presenza di cianite e di un pirosseno rombico; facies degli scisti a glaucofane, comprende rocce scistose contenenti l'associazione glaucofane-crossite-lawsonite-granato-rutilo-pirosseni sodici, che si formano a pressioni elevate e a temperature relativamente basse (300-400 ºC); per aumento ulteriore di temperatura si passa alla facies degli scisti verdi.

Bibliografia

J. Jung, Précis de Pétrographie. Roches sédimentaires, métamorphiques et éruptives, Parigi, 1958; E. Artini, Le rocce, Milano, 1964; P. E. Jeffrey, Chemical Methods of Rock Analysis, Oxford, 1970; W. Maresch, O. Medenbach, Rocce, Milano, 1989.

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