peculato
sm. [sec. XVIII; dal latino peculātus-us, da peculāri, appropriarsi il pubblico danaro]. Nel diritto romano, appropriazione indebita o manomissione di beni o danaro del populus Romanus, a opera di magistrati e anche di privati. La sanzione era l'esilio. § Nel diritto penale vigente, così come modificato dalla legge 26 aprile 1990, n. 86, peculato è il delitto del pubblico ufficiale o dell'incaricato di un pubblico servizio che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio, il possesso o la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui, se ne appropria (art. 314 Codice Penale). Scopi della norma incriminatrice sono il regolare funzionamento della pubblica amministrazione e la disincentivazione dei danni patrimoniali a essa portati. La pena prevede la reclusione, con l'interdizione temporanea del reo dai pubblici uffici. Oltre al peculato semplice il codice punisce una sua figura speciale definita peculato mediante profitto dell'errore altrui (art. 316 Codice Penale). In questa ipotesi, il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio si impossessano indebitamente di denaro o cose giovandosi dell'errore della persona che si rivolge alla pubblica amministrazione così ricevendo e non restituendo l'oggetto dell'indebito. Lo stesso reato è previsto dal diritto militare.