male (filosofia e religione)
ciò che il giudizio etico riconosce contrario alla morale. Due sono le concezioni principali nella storia del pensiero: l'una metafisica, l'altra soggettivistica. La prima considera il male un non-essere rispetto al bene inteso come essere; oppure un contrasto insito nell'essere stesso e talvolta come una dualità, che sdoppia l'essere (Bene e Male come due principi). Il concetto di male come non-essere fu sviluppato dagli stoici e dai neoplatonici. In Plotino il male è una specie di non-essere, che in ultima analisi s'identifica con la materia. Nel cristianesimo il male è inteso come non-essere: tale è la concezione di Clemente Alessandrino, di Origene, di Sant'Agostino e di San Tommaso (il male è assenza di bene e perciò non-essere). Su questo concetto Leibniz fondò la sua Teodicea. Hegel, identificando l'essere con il bene (nella sua terminologia la “ragione”) definisce il male “nullità assoluta”. Lo seguirono Croce e Gentile. Il male come contrasto all'interno stesso dell'essere, come lotta tra due principi irriducibili e contrapposti è il fondamento della religione persiana di Zarathustra, la quale distingueva la divinità o principio del bene dall'antidivinità o principio del male. Questa concezione ritorna nella religione di Mitra, in alcune sette gnostiche e soprattutto nel manicheismo. Per quanti affermano che il male è soggettivo, esso si presenta come un oggetto negativo del desiderio o del giudizio di valore. In questa prospettiva il male diventa l'oggetto stesso della volontà e del giudizio umano. È l'uomo, di volta in volta, a giudicare ciò che è bene e ciò che è male. Il male pertanto è un non-valore, l'oggetto di un giudizio negativo. Sostennero questa teoria Hobbes, Spinoza, Locke e Kant, che la teorizzò in modo significativo nella sua Critica della ragion pura. Connesso con la concezione del male nel cristianesimo è il problema del dolore: in molte religioni e nello stesso yahwismo il dolore era considerato una punizione al peccato soggettivo dell'uomo. Per la prima volta nel libro di Giobbe viene introdotta (e proprio da Giobbe) l'interpretazione che il dolore non sia sempre punizione dell'uomo peccatore (cioè un male morale, che può tradursi anche in male fisico), ma diventi un mezzo di riscatto dal male (peccato) di altri. È qui prefigurata la concezione del cristianesimo che colloca il dolore in funzione di riscatto per sé e per gli altri all'interno del corpo mistico di Cristo e, in una latitudine universale, per la redenzione del mondo intero. § Il male morale è visto come infrazione dell'ordine morale da parte della creatura razionale. Nei primi secoli del cristianesimo fu confutata la teoria che concepiva il male morale come una sostanza, identificata nel demonio, a sua volta causa del male nell'uomo. Il Concilio di Praga (451-464) ribadì che il male morale non ha altro principio che in colui che lo compie. Leone XIII (Libertas praestantissimum, 1888) affermò che il male, come privazione del bene, non è deducibile né dal demonio né da Dio, ma solo dall'uomo, che può scegliere l'azione conforme o difforme all'ultimo fine. La dottrina cattolica (e anche protestante) ravvisa l'origine del male morale nel peccato originale, che inerisce all'uomo “fin dall'inizio”, determinandone l'incapacità a “superare efficacemente da se stesso gli assalti del male” (Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 1965). Secondo la dottrina cattolica il male morale “offende Dio e infligge una ferita alla Chiesa” (Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 1964), per cui conquista una dimensione sociale in quanto lesivo del bene generale. Il Concilio Vaticano II (Ad Gentes, 1965) afferma che un'autentica vittoria sul male morale non può essere operata senza Cristo. § Secondo la definizione kantiana il male radicale è la tendenza connaturata nell'uomo ad allontanarsi dalla legge morale. Di conseguenza è su quest'ultima che si deve informare il comportamento umano.