Lessico

sf. [sec. XIV; da legittimare]. L'operazione del legittimare e il suo risultato. In diritto civile, in senso generale, la presenza in un soggetto dei requisiti necessari per la validità di un atto giuridico da esso posto in essere. In senso specifico, il particolare rapporto del soggetto con l'atto da compiere, cosicché a tale atto egli sia abilitato sotto ogni punto di vista: in tale secondo senso si esamina, cioè, non solo la presenza nel soggetto dei requisiti essenziali e generali (capacità giuridica e capacità di agire), ma si prende in considerazione la possibilità obiettiva di chi agisce di poter disporre efficacemente e validamente di un dato diritto: legittimazione è quindi, per esempio, la situazione dell'alienante quale proprietario del bene che trasferisce ad altri, o del procuratore che rappresenta, in virtù di una valida procura, il proprio mandante. La dottrina distingue tra “capacità di agire”, che si riferisce a una qualità naturale del soggetto, e legittimazione che attiene, invece, a una qualità giuridica di esso.

Diritto processuale

Per il diritto processuale civile, la legittimazione ad agire (in giudizio) è attiva, quando il soggetto ha il diritto di chiedere in nome proprio al magistrato di pronunciarsi in ordine a una determinata controversia; passiva, quando una domanda giudiziale è rivolta al soggetto effettivamente obbligato e interessato a quella domanda. La mancanza di legittimazione attiva o passiva, cioè la non corrispondenza fra le parti in giudizio e gli effettivi titolari dei diritti in esso dedotti, rende improponibile la domanda giudiziale. La legittimazione ad agire si distingue dall'interesse ad agire che è invece lo stato d'incertezza o di pericolo di un determinato diritto che legittima il ricorso al magistrato da parte di chi ha interesse a rimuovere tale situazione.

Diritto civile: legittimazione dei figli

Nel caso di filiazione naturale può essere conseguita attraverso due forme: per susseguente matrimonio o per provvedimento del giudice. Sia nell'una sia nell'altra ipotesi la legittimazione attribuisce a colui che è nato fuori del matrimonio la qualità di figlio legittimo. La legittimazione per susseguente matrimonio presuppone le nozze fra i genitori del figlio naturale e il riconoscimento di questi da parte di ambedue i coniugi. La legittimazione per provvedimento del giudice può avvenire alle seguenti condizioni: se corrisponde agli interessi del figlio; se richiesta dai genitori stessi o da uno di essi; se il genitore sia impossibilitato o gravemente ostacolato a legittimare il figlio; se vi è l'assenso dell'altro coniuge; se dà il suo assenso il legittimo che abbia compiuto il 16º anno di età; se vi è l'assenso dell'altro genitore o del procuratore quando il legittimando è inferiore ai 16 anni; se vi consentono i figli legittimi o legittimati che abbiano compiuto il 16º anno di età. Nel diritto romano era facoltà degli imperatori, già esistente nel sec. II d. C., di concedere ai nati illegittimi lo stato di figli legittimi. Pare che Costantino avesse vietato l'arrogazione degli illegittimi, restringendo la legittimazione – in via transitoria – ai concepiti da concubini ingenui che avessero contratto giuste nozze, sia prima sia dopo la nascita dei figli. Giustiniano sancì la legittimazione dei nati sia da concubini che avessero contratto matrimonio con la presentazione di strumenti dotali, sia da un libero che avesse manomesso e resa legittima moglie la propria schiava.

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