latinismo
sm. [sec. XVII; da latino]. Denominazione delle parole e locuzioni latine penetrate in un'altra lingua (curriculum, memorandum, conditio sine qua non, ecc.), o delle forme lessicali che per ragioni grafiche, fonetiche, morfologiche, semantiche si rivelano come elementi dotti mutuati dal latino non per tradizione ininterrotta. I principali indizi fonetici per riconoscere i latinismi in italiano sono: le vocali toniche latine í, ŭ che restano i, u invece di diventare e, o (disco da latino díscus invece di desco), la conservazione del nesso ns (pensare invece di pesare), la conservazione dei nessi pl, bl, fl, cl, gl (implicare invece di impiegare). Si presentano come latinismi per il loro aspetto morfologico parole come imago invece di immagine, comparativi organici come priore, seriore e superlativi come acerrimo, integerrimo; sul piano semantico è anche un latinismo cattivo nel senso di “prigioniero”. Ovviamente la lingua letteraria fa un più largo uso di latinismi per particolari ragioni artistiche e stilistiche: così si trova in Dantegena per guancia, pandere per mostrare, viro per uomo.