gladiatóre
IndiceLessico
sm. [sec. XIV; dal latino gladiātor-ōris, da gladíus, spada]. Chi, nel mondo romano, si batteva a sangue negli anfiteatri o nei circhi, con un altro gladiatore o contro bestie feroci, singolarmente o a gruppi (reziari, traci, oplomadi, bestiari, catervari, mirmilloni, ecc.).
Cenni storici
I combattimenti di gladiatori (ludi gladiatori) erano in origine sacrifici umani compiuti nei riti funebri; dagli Etruschi passarono ai Romani nel sec. II a. C., diventando, a partire dal 105 a. C., pubblico spettacolo, organizzato da magistrati, specialmente da edili che se ne servivano per conquistare il favore del popolo in tempo di elezioni. Si diffusero largamente in età imperiale, specialmente nella parte occidentale dell'Impero. I combattenti (che si rivolgevano all'imperatore con il saluto Ave Caesar, morituri te salutant) erano prigionieri di guerra, condannati, schiavi, ma anche uomini liberi, e venivano addestrati in apposite scuole sotto la guida d'un maestro (lanista). Da una scuola di Capua partì la scintilla della grande rivolta servile di Spartaco nel 73 a. C. Pur circondati da grande favore in ogni ceto romano, i giochi di gladiatori non mancavano di essere talvolta oggetto di disapprovazione. Chi più li avversò fu il cristianesimo, tanto che nel 404 l'imperatore Onorio li proibì definitivamente.
Iconografia
Le più antiche raffigurazioni di gladiatori sono in pitture e su urne funerarie etrusche. La diffusione sempre maggiore degli spettacoli gladiatori dall'Etruria alla Campania e quindi a Roma e in tutto il mondo romano portò a una notevole abbondanza di figurazioni, secondo le svariate tipologie, sia in scultura (statuette di terracotta, bronzo, avorio; rilievi del monumento funerario di Lusio Storace, Chieti, Museo Archeologico), sia in pittura, particolarmente nei mosaici (mosaici di Zliten, oggi nel Museo di Tripoli, e, a Roma, il mosaico della Galleria Borghese).