fantapolìtica

sf. [sec. XX; fanta-+politica]. Neologismo creato nel 1963 in occasione del lancio pubblicitario italiano del romanzo Sette giorni a maggio di F. Knebel e C. W. Bailey, cui seguì poco dopo Il dottor Stranamore di P. George, e da allora entrato nel linguaggio comune insieme a moltissimi altri termini derivati per analogia (fantaguerra, fantaspionaggio, fantamore, fantareligione ecc.). Entrambi i romanzi erano basati su estrapolazioni portate alle estreme e verosimili conseguenze di situazioni note e attuali: la possibilità di un colpo di Stato militare negli Stati Uniti, la possibilità di una guerra atomica per errore tra USA e URSS. Caratteristica della fantapolitica è di utilizzare come personaggi della trama personalità politiche viventi e di non essere proiettata eccessivamente nel futuro (altrimenti si tratterebbe della cosiddetta fantascienza sociologica), e di non puntare troppo sugli aspetti gialli o spionistici o militari, quanto piuttosto su quelli della grande politica interna o internazionale. Sull'onda di questo successo si sono avuti anche esempi di fantapolitica italiana, specie di tipo satirico, in genere basata su ipotesi di colpo di Stato, su risultati elettorali anomali e così via.

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