epatotossicità

sf. [epato-+tossicità]. Capacità che hanno alcune sostanze chimiche (epatotossine) di esercitare un effetto dannoso sul fegato. Le epatotossine possono venire in contatto col fegato mediante inalazione, ingestione o somministrazione parenterale, e il danno che producono può avere origine sia da un effetto tossico diretto sia da una reazione di ipersensibilità. Le principali categorie di sostanze responsabili di epatotossicità sono due: quella dei veleni industriali, come il tetracloruro di carbonio e il tricloroetilene, o naturali (da certi tipi di funghi del genere Amanita), e quella dei farmaci. Quest'ultima comprende numerosi agenti terapeutici, tra cui neurolettici (clorpromazina), anestetici (alotano), analgesici (acetaminofene), citostatici (metotrexate), e antitubercolari (isoniazide). I contraccettivi orali sono anch'essi epatotossici provocando stasi biliare soprattutto nelle donne che hanno sofferto in gravidanza di ittero gravidico e prurito. Le manifestazioni cliniche della epatotossicità sono quelle di un'epatite, acuta o cronica a seconda dei casi, di gravità variabile fino all'esito letale nelle forme con necrosi diffusa dell'organo. Nei casi di tossicità indiretta (ipersensibilità) possono comparire sintomi extraepatici, come febbre, eruzioni cutanee, artralgie. La terapia delle epatiti tossiche, oltre all'indispensabile allontanamento dell'agente lesivo, si basa sulla osservanza di una scrupolosa igiene di vita (alimentazione, riposo) ed è in questo senso molto simile a quella delle forme di epatite virale.

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