emòstasi
sf. [sec. XVIII; emo-+stasi]. Complesso dei meccanismi messi in atto dall'organismo (emostasi spontanea), oppure utilizzati in chirurgia (emostasi provocata), allo scopo di arrestare le emorragie. L'emostasi si svolge con modalità differenti nelle varie specie animali; così, mentre negli organismi inferiori si realizza mediante semplici meccanismi di vasocostrizione e di agglutinazione degli elementi cellulari sanguigni, nell'uomo e negli animali più evoluti entrano in gioco più meccanismi indipendenti che prevalgono l'uno sull'altro in rapporto al tipo di vaso sanguigno colpito (capillari, arteriole, arterie, vene), alla sua posizione anatomica (superficiale o profonda), alla velocità del circolo, alle proprietà del sangue, ecc. Si possono, in generale, distinguere due forme di emostasi: con meccanismo parietale, nella quale le pareti del vaso sanguigno, che è sede dell'emorragia, hanno la tendenza a collabire, sia per le proprietà plastiche proprie della parete vasale, sia per un meccanismo nervoso di natura riflessa, sia per la pressione meccanica esercitata sui vasi dal sangue stravasato nei tessuti circostanti. Per effetto del collabimento la corrente sanguigna rallenta fino ad arrestarsi. Il processo parietale dell'emostasi ha importanza soprattutto nei vasi di piccolo calibro, dove si hanno emorragie di modesta entità. con meccanismo endoteliopiastrinico, nella quale in seguito a un'emorragia le piastrine si addensano in gran numero in corrispondenza del vaso sanguigno leso, vi aderiscono e si agglutinano fra loro. Si forma in tal modo il cosiddetto “trombo bianco piastrinico”, che occlude meccanicamente la lesione del vaso. In questa fase le piastrine subiscono pure alterazioni strutturali e talora si disgregano, con relativa liberazione di fattori enzimatici che sono necessari per innescare il terzo meccanismo dell'emostasi, quello della coagulazione.