Lessico

agg. e sm. [sec. XIII; dal latino continŭus].

1) Agg., che ha estensione ininterrotta nello spazio o nel tempo: una linea continua; un lamento continuo; una preoccupazione continua; “un portico continuo a volta” (Manzoni); piogge continue, incessanti. Loc., di continuo, al continuo, del continuo, continuamente, senza interruzione. Più in particolare: A) in fonetica: consonanti continue, la cui articolazione consente una prolungata emissione della corrente d'aria espirata, a differenza delle consonanti momentanee, che vengono articolate con una occlusione che blocca momentaneamente la corrente espiratoria. Consonanti continue sono, per esempio, le fricative, che in italiano possono essere labiali (f, v), dentali sibilanti (s sordo come in sparare, o sonoro come in sbranare), palatali (il suono scritto col diagramma sc in scena). B) In matematica, funzione continua, uniformemente continua, assolutamente continua, semicontinua, quasi continua, vedi continuità; frazione continua; rappresentazione continua; insieme continuo. C) In meccanica, sistema continuo, o semplicemente continuo, sistema deformabile del quale si trascura la struttura molecolare e del quale non interessa specificare la natura. D) In ottica, spettro continuo.

2) Assiduo, abituale, costante: “Dinanzi al simulacro accesa face / continua splende” (Tasso).

3) Sm., in matematica, si dice che un insieme ha la potenza (o cardinalità) del continuo se esso può essere posto in corrispondenza biunivoca con l'insieme dei numeri reali, cioè dei punti di una retta. La potenza del continuo è superiore a quella del numerabile (cardinalità dell'insieme dei numeri naturali).

4) In fisica, continuo spaziotemporale, sinonimo di spazio-tempo.

Logica: cenni storici

Il fatto che determinati oggetti, movimenti, mutamenti qualitativi siano percepiti come continui, cioè con fasi non distinte le une dalle altre, ha fatto sì che la nozione di continuo venisse associata a quelle di spazio e tempo; così pure il fatto che le fasi di un mutamento si possano considerare finite o infinite ha fatto sì che al continuo si associasse la nozione di infinito. La mancanza, poi, di una precisa definizione di infinito può porre in rilievo aspetti paradossali del continuo. Ciò viene posto in luce già da Zenone di Elea con paradossi nei quali si negava non solo il carattere continuo del moto, ma la possibilità del moto stesso. Democrito, a sua volta, concepì il continuo comeformato da elementi indivisibili ordinati in una classe infinita attuale. Anche per Platone il continuo era costituito da indivisibili. Per Aristotele, invece, “nulla che sia continuo può comporsi di indivisibili”. Per cui né il tempo è una somma di istanti, né la linea è una somma di punti. Egli concepì il continuo come “ciò che è divisibile in divisibili che sono divisibili all'infinito”. La divisione, in una grandezza continua, è allora limite di due parti contigue, cioè aventi gli estremi in comune. Va ricordato che, proprio per il carattere potenziale assegnato da Aristotele all'infinito, anche il continuo viene inteso in questo senso. La concezione aristotelica dominò sino al sec. XVI, anche se filosofi platonici e democritei considerarono legittimo operare con totalità infinite attuali, sia continue sia discrete. Da queste correnti di pensiero scaturì una nuova considerazione del continuo a opera di G. Galilei, che considerò il continuo come infinito attuale, composto da infiniti “indivisibili” (punti) “non quanti” (privi di dimensione). In altre parole, per Galileo, continuo è tutto quanto sia costituito da un numero infinito di elementi discreti e indivisibili. G. W. Leibniz, invece, dissociando il continuo fisico da quello matematico, affermava, a proposito del primo, che nulla avviene in natura per gradi e che non esistono mutamenti discontinui. Per il secondo, al quale attribuiva un carattere essenzialmente ideale, la sua concezione può venir così formulata: date due grandezze A e B, con A maggiore di B, esiste sempre una terza grandezza C tale che A sia maggiore di C e C sia maggiore di B. La concezione leibniziana dominò sino al sec. XIX, quando vennero formulate le definizioni di R. Dedekind e di G. Cantor. Queste possono essere rispettivamente enunciate, con B. Russell: A) se tutti i punti di una retta sono divisi in due classi, delle quali una precede completamente l'altra, allora, o la prima classe ha un ultimo termine, o la seconda ha un primo termine, ma non possono succedere entrambe le cose; B) tutti i punti su una retta sono limiti di serie di punti razionali e tutte le serie infinite di punti razionali hanno limite.

Matematica: ipotesi del continuo

La riorganizzazione dell'analisi matematica, iniziata nella prima metà del sec. XIX, basata sul concetto di limite e sostanzialmente dovuta ad A. Cauchy, vedeva il culmine dell'esigenza di rigore, verso la fine dell'Ottocento, nell'elaborazione di adeguate teorie dei numeri reali a opera di G. Cantor e R. Dedekind. In questo contesto prendeva senso la domanda: quanti sono i numeri reali? Oppure, nell'ambito geometrico: quanti punti formano una retta dello spazio euclideo? Tuttavia, il contesto più adeguato doveva risultare la teoria degli insiemi. Lo sviluppo di questa teoria, seppure nella sua forma cosiddetta “ingenua”, alla fine dell'Ottocento, il suo progressivo svincolarsi da altre discipline matematiche e il suo affermarsi come teoria basilare dell'intero edificio matematico mettono in luce l'aspetto prettamente combinatorio della questione di cui sopra. Cantor la riformula nel modo seguente: “quanti sono gli insiemi di numeri naturali?”, svincolandola così da ogni riferimento alla topologia della retta reale. Nell'impostazione cantoriana la risposta al problema richiede una teoria dei numeri “infiniti” che in qualche modo consenta di dominare totalità infinite: è questa la teoria dei numeri transfiniti, in particolare, quella dei numeri cardinali transfiniti. La domanda diviene allora: quale numero cardinale compete all'insieme dei numeri reali, ovvero, all'insieme di tutti i possibili insiemi di numeri naturali? Cantor dà la dimostrazione del teorema secondo il quale l'insieme dei numeri reali non può essere posto in corrispondenza biunivocacon quello dei numeri naturali. I numeri reali sono dunque, parlando intuitivamente, di più dei numeri naturali. Tuttavia, nella prospettiva cantoriana, pur ammettendo numeri cardinali infiniti sempre più grandi, all'insieme dei numeri reali dovrebbe competere il secondo numero cardinale transfinito א₁, mentre il primo א0 compete all'insieme dei numeri naturali. Questa è l'ipotesi del continuo di Cantor e di solito viene espressa in questi termini, perfettamente equivalenti alla definizione data sopra: ogni insieme infinito di numeri reali si può mettere in corrispondenza biunivoca o con l'insieme dei numeri naturali o con l'intero insieme dei numeri reali. A 70 anni dalla formulazione della teoria degli insiemi di Cantor e benché il problema rivesta per essa una grande importanza, sulla questione della cardinalità del continuo si è appurato solo che essa non è un numero cardinale di un certo tipo, non è cioè il limite di un'infinità numerabile di numeri cardinali minori. L'ipotesi di Cantor non solo non è dimostrata né confutata, ma neppure si è avuto un accordo sulla sua “evidenza”. Infatti da una parte stanno gli studiosi i quali, rifiutandosi di ammettere che la molteplicità degli oggetti sia infinita, rigettano in blocco l'intera teoria del transfinito e affermano pertanto che il problema del continuo è, in ultima analisi, uno pseudoproblema. Dall'altra parte stanno non solo coloro che hanno sviluppato una teoria del continuo su premesse totalmente diverse e spesso antitetiche a quelle di Cantor, come i predicativisti o gli intuizionisti, ma anche coloro che nell'ambito stesso della teoria del transfinito hanno spesso contrapposto una diversa ipotesi (Lusin, Sierpinski, ecc.). Il passaggio poi dalla teoria “ingenua” alle teorie formalizzate degli insiemi ha reso più delicato il problema. Ci limitiamo qui alla teoria formale di Zermelo-Fraenkel-Skolem. Il primo risultato fondamentale è quello di K. Gödel (1939): l'ipotesi del continuo di Cantor, come caso particolare dell'ipotesi generalizzata del continuo (congettura secondo la quale non esistono potenze intermedie tra la potenza di un insieme A e quella dell'insieme delle sue parti) è coerente con gli assiomi della teoria di Zermelo-Fraenkel-Skolem. Nel 1964, P. J. Cohen ha però dimostrato che anche la negazione di tale ipotesi è coerente con tali assiomi; sarebbe perciò legittimo sviluppare due tipi di matematica, ammettendo o respingendo l'ipotesi del continuo. Si può osservare che il problema si è trasformato, nel contesto delle teorie formali, in quello della ricerca di nuovi assiomi in grado di decidere l'ipotesi del continuo e per altro di precisare lo stesso concetto di insieme.

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