burocratizzazióne
sf. [sec. XX; da burocratizzare]. Atto ed effetto del burocratizzare. In particolare, in sociologia, il termine denota l'espansione quantitativa della burocrazia – originata dal processo di formazione dei moderni Stati nazionali – e il progressivo aumento della sua influenza sociale. Max Weber ha sviluppato la prima interpretazione sistematica del fenomeno prodotta dalle scienze sociali, descrivendo un “tipo ideale” di burocrazia governato dai principi di razionalità ed efficienza. Queste caratteristiche distinguono per Weber le moderne burocrazie da quelle dell'antichità classica (la casta degli scribi egiziani o l'apparato amministrativo dell'Impero romano), esaltandone le capacità di controllo delle esigenze – ma anche delle tensioni e dei conflitti – provenienti dalla società di massa. La burocratizzazione costituirebbe, perciò, un elemento strutturale delle società industriali, che interessa l'impresa produttiva, ma anche la gestione della cosa pubblica e il sistema politico. Lo sviluppo di un'economia monetaria e di strutture specializzate per la difesa interna ed esterna (eserciti, corpi di polizia, magistratura) è all'origine delle moderne burocrazie – necessarie per garantire un capillare sistema di prelievo fiscale e di reclutamento militare – e, più tardi, della loro abnorme espansione. Per burocratizzazione, d'altronde, si intendono anche il reperimento e la gestione delle risorse economiche capaci di garantire il sostentamento dell'immensa macchina amministrativa pubblica. Alcuni critici denunciano perciò la tendenziale costante degenerazione di un processo per larga parte finalizzato alla sopravvivenza dell'apparato e sempre meno sensibile proprio alla logica della razionalità e dell'efficienza che Weber considerava forma peculiare e legittimazione delle moderne burocrazie. R. K. Merton, analizzando la burocratizzazione degli apparati statali contemporanei, segnala il fenomeno delle disfunzioni organizzative come problema cruciale connesso alla crescente burocratizzazione. Esso consiste principalmente nello sviluppo di una cultura del formalismo e del ritualismo, in forza della quale il burocrate risulta “spersonalizzato” e viene meno la giustificazione etica fondata sulla competenza e l'efficacia nella gestione della norma. Ancora più radicale nel denunciare l'involuzione della burocratizzazione contemporanea è A. Gouldner, che si domanda quali scopi collettivi possa perseguire una mastodontica macchina amministrativa sottratta a ogni possibilità di controllo (questione del consenso) ed essa stessa incapace di riconoscere le proprie finalità (problema della razionalità sostanziale). M. Crozier (Il fenomeno burocratico, 1964) richiama in tal senso l'esigenza, per lo scienziato sociale, di un'analisi del potere interno alle nuove burocrazie che approfondisca i suoi complessi meccanismi di regolazione. Un'analisi che può tradursi nella progettazione di un sistema più flessibile, in cui le tendenze alla burocratizzazione siano contrastate dall'impiego delle nuove tecnologie dell'informazione. Tecnologie che – se democraticamente controllate – consentirebbero, da un lato, l'indispensabile centralizzazione delle conoscenze e, dall'altro, la loro più rapida e larga diffusione. L'analisi critica della burocratizzazione si è associata a quella propria dei sistemi politici. Un intero filone di marxismo eretico – si pensi alla denuncia dello stalinismo da parte di Trotzkij o alla polemica di Ðilas contro la “nuova classe” politico-burocratica insediatasi al potere nella Iugoslavia di Tito – aveva individuato nella burocratizzazione della rivoluzione la principale causa di degenerazione dei sistemi del socialismo reale con largo anticipo rispetto al crollo della maggior parte di essi. Sociologi occidentali come J. Burnham e Wright Mills manifestano del resto preoccupazioni non molto dissimili di fronte all'espansione di un'onnipotente casta amministrativa sia nel settore pubblico sia in quello delle grandi concentrazioni industriali e finanziarie. Altri autori, come R. Bendix, sostengono invece l'impossibilità di dare identità politica e culturale omogenea ai nuovi ceti del terziario, il cui effettivo potere sociale sarebbe perciò relativamente limitato.