bipedismo
sm. [da bipede]. Modo di postura e di deambulazione strettamente connesso con la stazione eretta permanente, proprio dell'uomo . A differenza del bipedalismo, il bipedismo non richiede alcun ausilio delle braccia per il mantenimento dell'equilibrio, inoltre non riguarda la sola deambulazione e le strutture anatomiche che la presiedono. In effetti, il bipedismo investe tre fondamentali strategie: le modalità per la ricerca e la produzione del cibo; il rapporto con l'ambiente e la morfologia del territorio; la vita sociale e riproduttiva. Mentre la prima, e in parte la seconda, sono comuni ai generi Homo e Australopithecus, la seconda e soprattutto la terza sono esclusive dell'uomo. Il bipedismo non è un'acquisizione “istintiva” ma, proprio perché legato a una condizione permanente di assoluta stazione eretta, lo si apprende in 1-2 anni, richiedendo con ciò cure parentelari prolungate, il che presuppone una vita sociale e meccanismi riproduttivi molto complessi. La condizione di “permanente” stazione eretta nell'adulto investe l'uomo per quel che riguarda il suo rapporto con la morfologia del territorio ma nel contempo lo libera dalla dipendenza con un solo determinato ambiente (l'uomo può spostarsi, indifferentemente, nelle praterie o nelle foreste, sulle sabbie del deserto o sulle nevi); ciò è testimoniato da almeno 3 milioni di anni. Per di più, anche quando è fermo l'uomo opera in rapporto alla condizione di bipede: basti pensare all'uso raffinato che fa delle mani per la costruzione di strumenti. La maggior parte degli studiosi ritiene, altresì, che la necessità di svolgere lunghe cure parentelari abbia portato a una precoce distribuzione delle funzioni sociali tra i due sessi, favorendo con ciò una più vivace dinamica culturale e rafforzando di conseguenza le funzioni stesse del bipedismo, tanto che si potrebbe affermare che l'evoluzione psichica dell'uomo ha agito sul bipedismo in misura maggiore rispetto a quanto questo abbia operato sull'evoluzione biologica del genere umano.