aristocrazìa
Indice
Lessico
sf. [sec. XVI; dal greco aristokratía].
1) Governo dei nobili; la classe dei nobili che tengono il potere.
2) Il complesso dei nobili di una nazione; nobiltà: l'aristocrazia milanese; famiglia di antica aristocrazia; aristocrazia nera.
3) Per estensione, la parte migliore, il fior fiore, l'insieme delle persone che eccellono e si distinguono per nobiltà d'ingegno: l'aristocrazia dell'arte, l'aristocrazia della cultura, l'aristocrazia del lavoro. Fig., signorilità: comportarsi con aristocrazia.
Storia
In generale la formazione e lo sviluppo dell'aristocrazia sono legati al differenziarsi economico dei ceti sociali. Di fatto però, nel corso del tempo, i tratti distintivi propri dell'aristocrazia sono stati intesi diversamente dai vari popoli (in base alle virtù militari o intellettuali o politiche ecc.), risultando quindi impossibile una descrizione storica dell'aristocrazia avulsa dagli eventi sociali, politici, religiosi e culturali delle varie civiltà. Si possono invece tratteggiare brevemente il significato e l'evoluzione del termine. Il concetto di aristocrazia implica anzitutto quello di una gerarchia naturale o acquisita di valori o meriti personali tra i membri di una collettività, che si traduce in un dominio o primazia di pochi sulla massa. Il senso etimologico greco del termine designa (per esempio in Aristotele, Politica IV, 5, 10) appunto quella forma di governo nella quale, a differenza della monarchia e della democrazia, il potere è affidato ai “migliori” (áristoi), individuati tra i cittadini in base a una riconosciuta superiorità intellettuale e morale senza distinzione di nascita o di fortuna. Ma, secondo i filosofi greci, per raggiungere la condizione di superiorità è indispensabile essere liberi dalla preoccupazione di procacciarsi da vivere e specialmente dal lavoro manuale; sicché i “migliori” coincidono di fatto con i membri delle classi più elevate della società, segnalandosi soprattutto per ricchezza ereditata e per nobiltà di nascita. In origine l'aristocrazia greca era essenzialmente guerriera, identificandosi con coloro che potevano pagarsi una dotazione di armi e in seguito permettersi di allevare i cavalli necessari in battaglia. Così le classi più abbienti presero nel mondo ellenico il nome di cavalieri (ippêis) accanto a quello di proprietari di terre (geomóroi). Con le guerre per l'unificazione regionale gli aristocratici accrebbero la loro influenza al punto da giungere a condizionare nelle città-Stato di epoca omerica il potere del re (basiléus) e infine a sostituirlo nella gestione della cosa pubblica dando luogo a regimi nobiliari generalmente tesi a concentrare la ricchezza nelle mani dell'aristocrazia stessa. Lo sviluppo del commercio, i progressi dell'arte militare, l'incremento dei poteri dello Stato (in particolare della giurisdizione civile e penale) crearono una nuova classe facoltosa non più legata esclusivamente alla proprietà della terra, che in parte si mescolò in parte si oppose all'antica nobiltà di sangue. Il regime aristocratico mancò in tali condizioni di un saldo potere centrale e fu facilmente rovesciato dal popolo, di regola però capeggiato da nobili di nascita che instaurarono (sec. VI-V a. C.) forme di governo oligarchiche e tiranniche (sovente ancora propagandisticamente denominate aristocratiche). In seguito l'aristocrazia, pur declinando politicamente in Grecia, conservò i propri privilegi e il proprio credito sociale, tanto che anche nella democratica Atene la maggior parte dei capi-partito apparteneva all'aristocrazia fino a tutto il sec. V a. C. Malgrado le differenze con il mondo greco, anche presso i Romani il significato di aristocrazia s'identificò nell'età repubblicana con una particolare forma di governo, precisamente con la repubblica senatoriale instauratasi alla fine della monarchia e mantenuta fino al sec. I a. C. Si costituì cosi un patriziato composto dal ceto senatoriale con diritto alle magistrature e dominante sulla plebe che, dopo una lotta secolare, ottenne gli stessi diritti e prese parte attiva alla vita politica. Dal Medioevo l'aristocrazia cessò praticamente di definire un tipo di governo e denotò pressoché esclusivamente un ceto sociale i cui componenti si distinguevano per l'esercizio della milizia al servizio dei re e per privilegi familiari trasmissibili ereditariamente (feudi, diritti finanziari, giurisdizionali ecc.) differenziandosi giuridicamente dal clero (pure sovente, almeno nelle alte gerarchie, d'origine aristocratica) e dai borghesi delle città che praticavano attività mercantili e manifatturiere. In seguito, tra i sec. XV e XVIII, la formazione dello Stato moderno, territoriale e centralizzato, unitamente allo sviluppo dell'economia protocapitalistica ridussero il peso politico e sociale dell'aristocrazia, che tuttavia attraverso il possesso della terra, la partecipazione ai consigli dei sovrani e la rappresentanza in apposite assemblee (variamente denominate: Stati generali in Francia, Diete nell'Impero tedesco, Cortes in Spagna, Parlamenti nel Regno di Napoli e in Sicilia) continuò a esercitare un ruolo rilevante accanto e spesso contro le monarchie assolute e in concorrenza con il ceto borghese, il quale a sua volta assunse i modelli ideologici e culturali, gli stili di vita e di consumo delle aristocrazie cercando di nobilitarsi. Mentre nell'Europa orientale, in Spagna e nell'Italia meridionale e insulare l'aristocrazia feudale mantenne intatto il proprio potere politico oltre che economico, nella maggioranza delle città continentali a ovest dell'Elba e nell'Italia centro-settentrionale, gli strati mercantili più abbienti, sovente abbandonando le attività mercantili e manifatturiere a favore dell'investimento fondiario, si fusero con l'antica nobiltà di sangue e di spada dando vita a patriziati urbani che governarono con regimi di tipo oligarchico nelle città-Stato repubblicane (come Venezia o Genova) e godettero di larghi spazi di autonomia politico-amministrativa dal potere regio centrale anche nelle realtà monarchiche. Ciononostante, soprattutto nel corso del XVIII secolo, l'aristocrazia finì per perdere la funzione di sostegno sociale e ideologico alle monarchie assolute, finché la Rivoluzione francese non ne annullò sostanzialmente la funzione in quasi tutta Europa. Tuttavia durante l'Ottocento, in opposizione all'egualitarismo democratico, ritornò nel dibattito ideologico-politico una forma ideale di esaltazione del valore dell'aristocrazia, intesa ora come categoria dello spirito incarnata da gruppi di uomini superiori per doti naturali, ai quali dovevano spettare la guida e il comando delle collettività. Così da Th. Carlyle a J. A. de Gobineau si sviluppò una corrente di pensiero che ribadiva la drastica insofferenza per i principi egualitari e apriva indirettamente la strada ai movimenti antidemocratici, autoritari e totalitari. In questa tendenza va collocata anche la teoria delle élites sviluppata da G. Mosca, V. Pareto e R. Michels, che dalla crisi delle democrazie trassero la conclusione che in qualsiasi forma di governo era destinata a emergere una classe dirigente qualificata non dall'appartenenza a un ceto sociale quanto dall'attitudine al successo e alla volontà di dominio.
G. Rensi, Forme di governo del passato e dell'avvenire, Roma, 1945; A. Beccari, Il pensiero politico classico, Milano, 1949; A. Ventura, Nobiltà e popolo nella società veneta del '400 e '500, Bari, 1964; L. Stone, The Crisis of the Aristocracy (1558-1641), Oxford, 1965; A. Barbero, L'Aristocrazia nella società francese del Medioevo, Bologna, 1987.