apartheid
sf. olandese e afrikaans (separazione). Principio di rigida separazione razziale tra popolazione bianca e di colore, volto alla salvaguardia e al rafforzamento della supremazia della minoranza bianca. Praticato a lungo nel Sudafrica, soprattutto dal 1948 con l'andata al potere dei governi nazionalisti, trova le sue origini storiche nella colonizzazione boera e nel contrasto con gli Anglosassoni, insediatisi su quei territori. La politica di apartheid è stata applicata secondo due direttive fondamentali: l'isolamento reciproco delle diverse razze tramite la segregazione territoriale e l'applicazione del principio dell'inferiorità sociale, economica e politica dei non-bianchi. Una serie di leggi razziali ha discriminato, per quasi mezzo secolo, il trattamento giuridico dei cittadini secondo l'appartenenza ai vari gruppi etnici (bianchi, meticci, africani), limitando i diritti civili della popolazione di colore e vietandone l'accesso nei gradi elevati di istruzione e nei settori più qualificati del mondo del lavoro. Rimasta l'unica roccaforte dell'apartheid, anche la Repubblica Sudafricana è stata costretta a prendere atto di una situazione ormai del tutto anacronistica. Sotto la spinta di una poderosa pressione internazionale, il governo di Pretoria ha avviato a partire dal 1990 un progressivo smantellamento dell'apartheid e ha liberato il leader antisegregazionista N. Mandela. Nonostante i molti e sanguinosi ostacoli, il processo avviato dal presidente W. De Klerk si è concluso con una profonda modifica costituzionale (1993) che ha permesso le prime elezioni multirazziali (1994) vinte da Mandela che ha assunto la presidenza della Repubblica. Nonostante le enormi difficoltà del processo di transizione il Paese ha continuato a procedere sulla via della democratizzazione totale approvando (4 maggio 1996, ma in vigore dal 1999) una nuova Costituzione che ha portato la maggioranza nera dalla segregazione dell'apartheid alla guida del Paese.