Vérdi, Giusèppe
IndiceBiografia e opere
Compositore italiano (Roncole di Busseto, Parma, 1813-Milano 1901). La sua prima formazione ebbe luogo a Roncole e a Busseto, grazie alla protezione di Antonio Barezzi che lo affidò a Ferdinando Provesi, e proseguì a Milano con V. Lavigna. Nel 1836 divenne maestro di musica di Busseto e sposò allora Margherita Barezzi (m. 1840), figlia del suo protettore. Nel 1839 Verdi si trasferì a Milano, dove riuscì a far rappresentare alla Scala la sua prima opera, Oberto, conte di San Bonifacio, con un successo che gli valse la commissione dell'opera buffa Un giorno di regno (Milano 1840). L'esito deludente lo indusse a un periodo di riflessione, che si concluse con la composizione del Nabucco e con il suo trionfale successo alla Scala nel 1842. Da allora in pochi anni Verdi si affermò come la figura dominante del teatro lirico italiano. La sua produzione, che va dall'Oberto al Falstaff (1893), abbraccia più di cinquant'anni e in questo ampio arco cronologico, che vede profonde trasformazioni nella situazione della storia e della cultura italiana, delinea una evoluzione straordinariamente ricca e complessa, rivela una capacità di rinnovamento, una disponibilità ad accogliere diversi stimoli e a farli propri, che ammettono pochi confronti. Nella prima fase dell'opera verdiana si è soliti scorgere la voce delle istanze rivoluzionarie del Risorgimento italiano; più precisamente si ravvisa in lui una novità di accento in cui si è riconosciuta per la prima volta, nell'opera italiana, la voce del “quarto stato”. Gli evidenti influssi donizettiani (e nel caso del Nabucco in modo particolare rossiniani, del Rossini delle grandi opere corali, come il Mosè) non impediscono l'emergere di una concezione drammatico-musicale che mira a una violenta, immediata intensità, che afferma l'urgenza di un'incalzante tensione drammatica. Dopo I Lombardi alla prima crociata (Milano 1843) ed Ernani (Venezia 1844), la prima opera scritta con la collaborazione di F. M. Piave, in cui si definiscono alcuni caratteri tipici dell'eroe popolare del primo Verdi anticipando aspetti caratteristici del Trovatore, segue una produzione intensa e febbrile al fine di arrivare al definitivo consolidamento del proprio successo, accettando ogni occasione, in condizioni non sempre favorevoli. Furono anni decisivi per la formazione della drammaturgia del Verdi maturo: fin da ora il compositore definisce un proprio discorso, elementare nell'individuazione dei personaggi, spesso schematico, non alieno da rozzezze (per esempio in certi caratteri bandistici della strumentazione), tutto teso a una vocalità di vigorosa e incisiva immediatezza; un discorso in ogni caso di innegabile originalità e coerenza interna. I due Foscari (Roma 1844), Giovanna d'Arco (Milano 1845), Alzira (Napoli 1845), Attila (Venezia 1846), I Masnadieri (Londra 1847), Il Corsaro (Trieste 1848), La Battaglia di Legnano (Roma 1849) sono il frutto di tali anni. Un discorso a sé richiede Macbeth(Firenze 1847), opera assai più complessa, in cui la fantasia verdiana, stimolata dal testo shakespeariano, giunge a esiti di eccezionale rilievo già nella prima versione del lavoro, in seguito rivisto e in parte modificato per Parigi (1865). Dopo Luisa Miller (Napoli 1849) e Stiffelio (Trieste 1850), opere di grande interesse, soprattutto la seconda, ma in un certo senso di “transizione”, nacquero Rigoletto (Venezia 1851), Il Trovatore (Roma 1853) e La Traviata (Venezia 1853), i tre grandi capolavori che segnano una svolta nella drammaturgia verdiana. L'approfondimento psicologico delle figure dei protagonisti assume ben altro rilievo e originalità e il linguaggio musicale verdiano si rivela ormai compiutamente capace di ricreare mobilissime e complesse situazioni drammatiche, anche articolando formalmente la scena secondo schemi, quando è opportuno, anticonvenzionali. Gli anni immediatamente precedenti a questi tre celebri lavori segnano una svolta anche nella biografia di Verdi: l'agiatezza conquistata insieme con il successo gli consentì di acquistare la villa di Sant'Agata (nel 1848) dove stabilì la propria residenza. Gli fu compagna Giuseppina Strepponi, che Verdi sposò poi nel 1859. Dopo La Traviata l'attività del compositore subì un rallentamento, cui corrispose una ricerca sempre più ampia e meditata. Un importante arricchimento doveva rappresentare la prima esperienza francese di Verdi, il suo primo rapporto con il grand-opéra, quando per Parigi scrisse i Vespri siciliani (1855). E nel 1857 il Simon Boccanegra, sul quale poi Verdi ritornò con la collaborazione di Boito per la revisione del libretto, nel 1881, rappresenta un esito che, pur non privo di contraddizioni, va già considerato tra i più ricchi e significativi nell'ambito dell'ultima evoluzione verdiana. Essa si svolge nel mutato clima storico dell'Italia postrisorgimentale, accogliendo stimoli e arricchimenti anche da quegli artisti delle nuove generazioni che contro Verdi avevano polemizzato e le cui istanze di rinnovamento furono portate a compimento proprio dall'anziano compositore. Nel suo mondo le sottigliezze chiaroscurali assumono un peso crescente e la sua complessa drammaturgia non ammette più la concentrazione pressoché esclusiva su uno o pochi personaggi. La finezza e la precisione con cui è ritratto l'ambiente di corte nel Ballo in maschera (Roma 1859) sono essenziali per la concezione di quest'opera, che è un nuovo indiscusso capolavoro, fatto di sapienti equilibri, di profonde intuizioni drammatiche, ma anche di leggiadre eleganze. Dopo la discontinua Forza del Destino (Pietroburgo 1862), il Don Carlos (Parigi 1867) segna un'altra tappa decisiva: Verdi vi si rivela capace di dominare e reinterpretare compiutamente, in una nuova luce, le convenzioni del grand-opéra, creando un dramma tutto incentrato sulla psicologia intensamente chiaroscurata di tre dei protagonisti. In diverso clima, anche in Aida (Il Cairo 1871) si nota la capacità di scavare nell'intimo di alcuni personaggi riducendo a sfondo la spettacolare ambientazione, dall'intreccio con la quale quello scavo riceve maggior risalto. Con l'isolata esperienza della Messa da requiem (1874) Verdi si confronta spregiudicatamente con il testo liturgico, reinterpretandolo alla luce della propria tragica visione, poi si chiude in un lungo silenzio. La collaborazione con Boito, avviata con il rifacimento del Simon Boccanegra, fu determinante nella genesi delle due ultime opere, Otello (Milano 1887) e Falstaff (Milano 1893) entrambe ispirate a Shakespeare, entrambe concepite ormai al di fuori degli schemi dei pezzi chiusi, della distinzione tra aria e recitativo, schemi già prima più volte messi in discussione, ma qui definitivamente aboliti. Non è questo altro che un aspetto della novità del linguaggio dell'ultimo Verdi, nel cui raffinatissimo stile strumentale si avverte una lucida attenzione anche a fatti fino allora estranei alle tradizioni melodrammatiche italiane. La distaccata comicità di Falstaff, con i suoi risvolti sorridenti e amari, con le sue ambiguità e le sue disincantate ironie, segna l'addio al teatro dell'anziano compositore, che negli ultimi anni compose ancora soltanto i Quattro pezzi sacri (1886-97). La sua morte, il 27 gennaio 1901, fu sentita come un lutto nazionale. Nel 1997 fu istituito, con decreto del Presidente del Consiglio, un comitato nazionale per l'organizzazione di una nutrita serie di eventi culturali in onore di Verdi, svoltisi quattro anni dopo in occasione del primo centenario della sua morte.
Giuseppe Verdi in un ritratto di G. Boldini (Milano, Fondazione G. Verdi).
De Agostini Picture Library/F. Calandra
Giuseppe Verdi. Un acquarello raffigurante L'antro delle streghe del Macbeth.
De Agostini Picture Library/G. Cigolini
Giuseppe Verdi. Citazione da La forza del destino (Sinfonia).
Giuseppe Verdi. Uno scenografia di P. Chaperon per l'atto IV scena II dell'Aida (Parigi, Bibliothéque de l'Opéra).
Parigi, Bibliothéque de l'Opéra
Giuseppe Verdi. Una litografia dell'Otello (Parigi, Bibliothéque de l'Opéra).
Parigi, Bibliothéque de l'Opéra
Giuseppe Verdi in una fotografia dell'epoca. I Quattro pezzi sacri (1886-97) segnarono l'addio del compositore al teatro.
De Agostini Picture Library/G. Cigolini
Istituto nazionale di studi verdiani
Sorto a Parma nel 1959, è stato riconosciuto dallo Stato italiano nel 1963. Diretto da Mario Medici e, dal 1980, da Pierluigi Petrobelli, l'Istituto si dedica all'acquisizione dell'epistolario verdiano e della documentazione secondaria, nonché agli studi storici, filologici e analitici sull'opera di Verdi.
Bibliografia
G. Roncaglia, Galleria verdiana, Milano, 1959; G. Pannain, Giuseppe Verdi, Torino, 1964; F. Walker, L'uomo Verdi, Milano, 1964; G. Marchesi, Verdi, Torino, 1970; J. Budden, The Operas of Verdi, vol. I, Londra, 1973; M. Mila, La giovinezza di Verdi, Torino, 1974; Ch. Osborne, Tutte le operedi Verdi, Milano, 1975; M. Rinaldi, Le opere meno note di Verdi, Firenze, 1975; V. Cisotti, Schiller e il melodramma di Verdi, Firenze, 1976; A. Imbarrato, Idee verdiane, Siena, 1991.